Licenziamento sproporzionato per chi risponde all'aggressione del collega

Pubblicato il 27 aprile 2021

E’ stata definitivamente accolta l’impugnativa promossa da un lavoratore nei confronti del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla società datrice di lavoro.

La Corte d’appello aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento e applicato la tutela di cui all'art. 18, comma 5, della Legge n. 300/1970, senza reintegro, quindi, del dipendente; per l'effetto, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro con decorrenza dalla data del licenziamento, riconoscendo al lavoratore un'indennità risarcitoria pari a 18 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto.

Licenziamento per giusta causa illegittimo se non proporzionato

In primo luogo, era risultato provato il fatto posto a base del licenziamento disciplinare: il lavoratore, a seguito di una discussione con un collega di reparto, era passato alle vie di fatto. L’occorso era stato visto ed udito dagli altri colleghi e dai clienti del reparto medesimo.

Secondo i giudici di gravame, ciò posto, il recesso datoriale non era proporzionato nonostante la condotta contestata fosse astrattamente riconducibile all'ipotesi sanzionata dal CCNL di settore con il licenziamento senza preavviso.

Il lavoratore - era stato rilevato - aveva colpito il collega dopo essere stato schiaffeggiato: dopo una prima discussione, ossia, avvenuta nel reparto e rimasta nei limiti di un confronto verbale, il dipendente aveva continuato a lavorare senza dare seguito al diverbio litigioso ma era stato il collega a seguire il primo con l'intenzione di continuare la discussione e di aggredirlo.

Nella statuizione era stato inoltre considerato il fatto che il lavoratore non aveva precedenti disciplinari.

La società datrice si era rivolta ai giudici di legittimità, lamentando, tra i rilievi, violazione e falsa applicazione di legge.

Secondo la ricorrente, la Corte di appello non aveva espresso il giudizio di proporzionalità in conformità alle previsioni legali e contrattuali che regolano il licenziamento disciplinare nel settore del terziario.

Giudizio di proporzionalità su gravità inadempimento

Con ordinanza n. 10621 del 22 aprile 2021, la Suprema corte ha giudicato inammissibile tale ultimo rilievo, ritenendo che la contestazione del giudizio di proporzionalità, articolata in termini di errore di diritto, non avesse colto nel segno.

Il giudizio inerente alla gravità, in concreto, dell'inadempimento (cosiddetto "giudizio di proporzionalità"), espresso attraverso la valutazione dei fatti di causa, costituisce infatti un tipico accertamento riservato al giudice di merito, confinato nell'area dell'apprezzamento del fatto, insindacabile in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., tempo per tempo vigente.

Nel caso in esame, parte ricorrente non aveva individuato nella valutazione della Corte di secondo grado alcuno specifico contrasto con disposizioni normative o principi di diritto, di tal ché le critiche dalla stessa articolate parevano volte, piuttosto, a contrastare tale giudizio sotto il profilo della mancata considerazione di alcuni elementi e della errata valorizzazione di circostanze asserite come ininfluenti.

E anche a voler riqualificare il motivo in termini di vizio di motivazione, le censure soffrivano dei medesimi limiti di ammissibilità.

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