Da quando decorre la prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti?
Alla domanda ha dato risposta la Corte di cassazione, nel testo dell'ordinanza n. 17643 del 20 giugno 2023, dopo aver richiamato, con un'ampia disamina, i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue e interna, in materia.
Principi ai quali, nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto si fosse attenuto il giudice della Corte d'appello, nel pronunciarsi sulla domanda avanzata da una ex dipendente INPS che, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, aveva chiesto che il datore di lavoro fosse condannato al pagamento, in suo favore, dell'indennità sostitutiva per ferie non godute.
Ebbene, secondo la Suprema corte, la prescrizione del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Questo, a meno che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante aver ricevuto invito ad usufruirne.
Nelle predette ipotesi, l'invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere, altresì, l’avviso che, in caso di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.
Nella vicenda in esame, la Corte di appello aveva riconoscendo il diritto della dipendente a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie per 248 giorni.
A fronte di tale statuizione, il datore di lavoro si era rivolto al Collegio di legittimità, sostenendo che il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie si era prescritto in dieci anni anche in corso di rapporto di lavoro.
In secondo luogo, richiamando la contrattazione collettiva applicabile, il ricorrente asseriva che il diritto all’indennità andasse ricollegato alla mancata fruizione di dette ferie “per esigenze di servizio”, esigenze che avrebbero dovuto essere provate dal lavoratore, essendo egli il soggetto che agiva in giudizio.
La Sezione lavoro della Cassazione ha giudicato infondati entrambi i motivi.
Il datore di lavoro - si legge nel testo della copiosa decisione - è tenuto, considerato il carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’art. 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite.
Egli, pertanto, deve invitare il dipendente, se necessario formalmente, alla fruizione delle medesime, informandolo, nel contempo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, le ferie andranno perse.
Grava sul medesimo datore di lavoro, sul punto, l'onere della prova.
In proposito, la giurisprudenza della Cassazione ha di recente puntualizzato che, per il diritto interno, la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto se il datore di lavoro offra la prova:
Nel caso esaminato, la Corte territoriale aveva specificamente accertato che parte datoriale non aveva adempiuto all’onere probatorio su di essa incombente, non avendo provato di avere operato con la massima diligenza in modo da consentire alla lavoratrice di godere delle ferie maturate.
Di conseguenza, la dipendente non aveva perso il diritto all'indennità sostitutiva, cosicché, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ella doveva percepire quest'ultima nella sua interezza.
In tale contesto, la prescrizione del diritto non avrebbe potuto decorrere prima della cessazione del medesimo rapporto.
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