Dipendente stressato inveisce contro i clienti? Licenziamento sproporzionato

Pubblicato il 16 novembre 2023

E' sproporzionata la sanzione del licenziamento, adottata nei confronti del dipendente che, sotto l'impeto del malessere patito per il continuo mutamento di sede e di mansioni, ritenute sempre più dequalificanti, abbia reagito impulsivamente alle richieste dei clienti, inveendo contro questi ultimi.

Lo ha riconosciuto il Tribunale di Cremona con ordinanza n. 1393 dell’11 ottobre 2023, pronunciata in accoglimento dell'impugnativa di un bancario, addetto allo sportello, contro il licenziamento disciplinare per giusta causa comminatogli dalla banca, datrice di lavoro.

Nocivo contesto lavorativo, licenziamento disciplinare non proporzionato

I giudici di merito, pur riconoscendo l'esistenza dei fatti addebitati nel loro accadimento oggettivo e il loro rilievo disciplinare, hanno ritenuto che gli stessi non fossero sufficienti per legittimare il recesso.

La sanzione espulsiva comminata, ossia, era da ritenere sproporzionata rispetto a tali condotte e ciò anche in ragione del "nocivo contesto lavorativo" in cui il dipendente si era trovato ad operare.

Atteso, inoltre, che nel CCNL applicabile era assente una tipizzazione delle condotte punibili con il licenziamento, spettava al giudice valutare se la sanzione irrogata fosse legittima in relazione alla gravità o recidività della mancanza o all'intensità dell'elemento soggettivo.

In proposito, il giudice del lavoro ha evidenziato che la datrice di lavoro era pienamente consapevole:

Secondo il Tribunale, ossia, la banca avrebbe potuto reagire immediatamente a tali episodi, ben conoscendo, peraltro, sia il "malessere" e il "disagio" provati dal ricorrente sul posto di lavoro sia i problemi da egli dichiarati nella relazione con i clienti.  

A ben vedere, i fatti oggetto di causa dovevano ritenersi eccezionali, seppur commessi a distanza di un breve periodo, considerato l'arco dei 28 anni di rapporto lavorativo.

In definitiva, l'inesistenza di precedenti disciplinari a carico del dipendente e l'assenza di una tempestiva contestazione dei primi episodi ora richiamati potevano essere valutate come circostanze idonee a far ritenere oltremodo sproporzionata la sanzione del licenziamento.

Tale sanzione era stata infatti adottata nei confronti di un soggetto che, con reazioni indubbiamente inadeguate, aveva agito sotto l'impeto della rabbia generata dal malessere subito, e noto alla resistente, per il continuo mutamento di sede e di mansioni.

Il licenziamento, tenuto conto delle modalità delle condotte, del dolo di intensità attenuata del ricorrente (dolo d'impeto) e dell'assenza di recidività specifica, ben poteva giustificare l'applicazione di una sanzione conservativa (pure nella misura massima prevista).

La sanzione espulsiva, infatti, costituisce l'estrema ratio cui il datore di lavoro può ricorrere in ipotesi di manifesta e provata impossibilità di proseguire del rapporto di lavoro.

Al lavoratore - si legge nelle conclusioni della decisione - andava sicuramente rimproverato di non aver saputo esercitare il dovuto autocontrollo manifestando all'esterno il proprio malessere in circostanze che richiedevano altro comportamento.

Detta mancanza, tuttavia, non era idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento o il giustificato motivo soggettivo.

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