Dimissioni per giusta causa tra NASpI e ticket licenziamento

Pubblicato il 05 giugno 2024

L’articolo 2119 del codice civile prevede che il lavoratore possa recedere dal contratto di lavoro, prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

È il caso delle dimissioni per giusta causa.

Il legislatore non definisce le specifiche fattispecie di “giusta causa”, demandando pertanto alla giurisprudenza il compito di enuclearle.

Giusta causa di dimissioni: le fattispecie

L’INPS, nella circolare n. 163 del 20 ottobre 2003, ha elencato le fattispecie che la giurisprudenza ha qualificato come giusta causa di dimissioni, chiarendo che si considerano "per giusta causa" le dimissioni determinate:

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (articolo 189, comma 5, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), ha successivamente introdotto una ulteriore ipotesi di giusta causa di dimissioni nei casi di cessazione del rapporto di lavoro subordinato a seguito di recesso del curatore o risoluzione di diritto del rapporto di lavoro subordinato nel corso della procedura di liquidazione giudiziale.

Dimissioni per giusta causa: diritti del lavoratore

Il lavoratore che rassegna le dimissioni per giusta causa ha diritto:

La Cassazione (sentenza n. 13782 del 7 novembre 2001) ha escluso, in presenza di dimissioni per giusta causa, il diritto ad un risarcimento dei danni ulteriore rispetto all’indennità di preavviso ex art. 2119 c.c., in virtù del fatto che il contratto di lavoro è soggetto a disciplina speciale e derogatoria rispetto a quella prevista dall’art. 1453 c.c.

A diversa conclusione, la Suprema Corte giunge, con orientamento consolidato, per il risarcimento del danno non patrimoniale, dovuto a tutela dell'integrità psico-fisica del dipendente (art. 2087 c.c.) nei casi di intervenuto demansionamento con danno alla professionalità.

Dimissioni per giusta causa: obblighi del datore di lavoro

Nei casi di dimissioni per giusta causa del lavoratore il datore di lavoro è tenuto:

Quando è esclusa la giusta causa di dimissioni?

La giusta causa di dimissioni si configura in presenza di un comportamento datoriale che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto di lavoro e connesso a situazioni di oggettiva gravità.

Come evidenziato dalla Fondazione studi consulenti del lavoro (parere n. 5 del 15 febbraio 2010), la mancata corresponsione della retribuzione è giusta causa di dimissioni solo laddove “assuma di per sé, ove non del tutto accidentale, o di breve durata, una particolare gravità” e “configuri in concreto grave inadempimento del datore di lavoro” (Cass. civ., 11 ottobre 1988, n. 648; Cass. civ., 13 gennaio 1989, n. 133).

Evidenzia la Fondazione, che, per costituire giusta causa di dimissioni, la mancata corresponsione della retribuzione deve essere reiterata e non isolata (Cass. civ., 23 maggio 1998, n. 5146; Trib. Milano, 16 novembre 1994; Cass. civ., 8 novembre 1983, n. 6599; una giurisprudenza minoritaria ha affermato che è sufficiente la mancanza anche di una sola mensilità: Cass. civ., 15 maggio 1980, n. 3222, in Notiz. Giur. Lav., 1980, 609).

L’omissione può riguardare anche le mensilità supplementari, quali la 13° e la 14° mensilità e il versamento dei contributi previdenziali (Cass. civ., 8 novembre 1980, n. 5996).

Inoltre in base al cd. principio di immediatezza, il lavoratore deve dimettersi subito dopo la verificazione o la conoscenza del fatto, in quanto l’eventuale tolleranza spontanea dello stesso implica la possibilità di prosecuzione provvisoria del rapporto, escludendo per definizione la giusta causa (Cass. civ., 1° giugno 1994, n. 5298; Cass. civ., 5 maggio 1980, n. 2956)

La giusta causa di dimissioni è infatti esclusa nel caso di prosecuzione di fatto dell'attività lavorativa “nel caso in cui il lavoratore, manifestando la volontà di dimettersi, abbia consentito a continuare l'attività per tutto o per parte del periodo di preavviso. In tal caso, infatti, è lo stesso comportamento concludente del lavoratore ad escludere la ravvisabilità di circostanze tali da impedire la prosecuzione anche soltanto temporanea del rapporto (v. Cass. n. 24477 del 21/11/2011, Cass. n. 2492 del 21/03/1997, Cass. n. 2048 del 20/03/1985)”.

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