L'affermazione offensiva, che sia caratterizzata da preconcetti e luoghi comuni, senza consentire l'individuazione specifica ovvero riferimenti inequivoci a circostanze e fatti di notoria conoscenza attribuibili ad un determinato individuo, non porta all’integrazione del reato di diffamazione.
Ed infatti, il soggetto passivo del reato deve essere individuabile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita.
Detto criterio non può essere surrogato da intuizioni o soggettive congetture che possano insorgere in chi, per sua scienza diretta, può essere consapevole, di fronte alla genericità di un'accusa denigratoria, di poter essere uno dei destinatari.
Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 24065 del 9 giugno 2016.
Nel dettaglio, è stato respinto il ricorso promosso da diversi soggetti che avevano proposto querela nella loro qualità di persone nate e residenti nella regione Veneto e che si erano lamentati dell’intervento di un uomo durante una trasmissione radiofonica il quale aveva apostrofato i veneti come “un popolo di ubriaconi ed alcolizzati”, continuando con una serie di invettive di questo tenore.
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