E’ illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria, sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza del fatto. In detta ipotesi, difatti, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi procede all'arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.
E’ quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, respingendo il ricorso del Procuratore della Repubblica, avverso la mancata convalida dell’arresto di un imputato per reato di maltrattamenti in famiglia (oltre che lesioni, minacce ed ingiurie). Trattasi, difatti – secondo la ricostruzione del Tribunale – di arresto facoltativo intervenuto in ordine ad un episodio ricostruito per le sole dichiarazioni della persona offesa (coniuge convivente dell’arrestato), al di fuori di ogni possibilità di riscontro all'attualità, se non previa istruttoria da espletarsi.
Ricostruzione, quest’ultima, avallata dalla Cassazione, secondo cui il Tribunale, correttamente, non ha convalidato l’arresto, ritenendo nella specie insussistente la richiesta condizione di quasi flagranza e congruamente valorizzando il quadro indiziario che si era prospettato alla polizia giudiziaria intervenuta, apprezzato come non in grado di sostenere la condotta abituale di maltrattamenti in famiglia da parte dell’imputato.
Ciò premesso, risultano dunque insufficienti – conclude la sesta sezione penale con sentenza n. 642 del 9 gennaio 2017– le dichiarazioni rese dall'offesa nell'atto privato di denuncia, anche quanto all'ulteriore titolo di reato contestato all'imputato (lesioni), con conseguente legittimità del provvedimento di non convalida dell’arresto.
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