E’ stata annullata, dalla Cassazione, la condanna per il reato di dichiarazione infedele impartita al legale rappresentante di una società, ritenuto responsabile per aver indicato, nelle dichiarazioni annuali, elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli reali.
L’imputato si era rivolto alla Suprema corte lamentando, tra i motivi di doglianza, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione dei giudici di merito in ordine alla valutazione delle rimanenze di magazzino considerate al fine del superamento della soglia di punibilità.
In questa sede, il ricorso dell’imprenditore è stato ritenuto fondato proprio in considerazione del menzionato vizio di motivazione, per come si apprende dalla lettura della sentenza di Cassazione n. 35469 del 27 settembre 2021.
L’imputato, nell'appello, aveva specificamente contestato la valutazione delle rimanenze che era stata compiuta, dall’organo giudicante di primo grado, solo sulla base della differenza tra le risultanze finali di magazzino iscritte e il valore inferiore risultante dal libro giornale, pur nella ritenuta inattendibilità delle scritture contabili e senza una verifica di fatto sull'effettiva giacenza di magazzino.
Critiche, queste, a cui la sentenza di gravame non aveva fornito adeguata e convincente motivazione.
La Corte di appello, infatti, in modo assertivo, contraddittorio e manifestamente illogico, aveva rilevato che le rimanenze di magazzino erano state determinate in relazione agli importi risultanti dal libro giornale della società, pur specificando l'inattendibilità di tutta la documentazione contabile in esame.
La stessa aveva quindi ipotizzato che l'attività della società, pur operando la stessa nel settore interessato da agevolazioni fiscali, fosse svolta totalmente in nero.
Era stata attribuita, in tale contesto, una maggiore valenza probatoria al libro giornale in relazione alle altre scritture contabili, ma non era stato operato nessun accertamento di fatto, utile a giustificare una tale soluzione, palesemente illogica.
Difatti, non erano stati effettuati gli accertamenti nel magazzino sulle reali rimanenze né un'analisi, di merito, sulla prospettazione specifica del ricorrente, ovvero che "il valore delle rimanenze iscritto nel bilancio era stato già tassato nell’anno di riferimento, concorrendo alla determinazione del reddito".
Per contro, si sarebbe dovuto rammentare che la contabilizzazione delle giacenze di magazzino ha sempre una connotazione valutativa, dopo un accertamento dettagliato della loro reale consistenza.
A tal proposito, il Collegio di legittimità ha richiamato il principio già affermato dalla giurisprudenza secondo cui, in tema di dichiarazione fiscale infedele, la contabilizzazione delle giacenze di magazzino non è priva di una connotazione valutativa, cosicché, ai fini dell'accertamento della sussistenza del reato, trova applicazione il margine di tolleranza del 10% di cui all'art. 4, comma 1-ter, D. Igs. n. 74/2000.
Sul punto, quindi, la sentenza impugnata doveva annullarsi, con rinvio per nuovo giudizio di merito davanti alla Corte di appello.
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