Descrittivo il marchio che utilizza una parola straniera con nesso diretto col prodotto
Pubblicato il 10 febbraio 2015
Per valutare la
capacità descrittiva di un marchio che utilizza una
parola straniera – al fine di valutarne la validità– è necessario accertare la
effettiva diffusione e comprensibilità della parola straniera nel territorio di registrazione, o meglio, la sua
capacità di richiamare immediatamente al consumatore medio, il prodotto a cui è associata.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con sentenza n.
2405 depositata il 9 febbraio 2015, in accoglimento del ricorso presentato da una società cui era stato inibito l’uso di un marchio, di cui, a sua volta, eccepiva la nullità.
Riteneva in particolare la società ricorrente, che il marchio in questione fosse illecito, poiché costituito da una parola straniera di uso comune ed altamente descrittiva.
Ha stabilito in proposito la Cassazione, che le parole di uso comune relative al genere di un prodotto, possono costituire oggetto di un valido marchio, solo se abbiano subito una modificazione tale da oscurare il loro originario significato linguistico e tale da designare, con forte individuazione, un nuovo prodotto, senza alcuna aderenza concettuale con l’oggetto che sono chiamate a contraddistinguere.
Premessi tali concetti, la Suprema Corte, nel cassare la sentenza impugnata, ha ritenuto non sufficientemente motivata, da parte della Corte territoriale, la presunta liceità del marchio in questione.
Ha poi enunciato il principio secondo cui, in
caso di utilizzo di parole straniere in un marchio, deve considerarsi
descrittivo, qualunque
segno che presenti
con il prodotto un
nesso concreto e diretto, in quanto ormai parte del patrimonio linguistico nel territorio di registrazione e quindi capace di richiamare immediatamente il prodotto medesimo,
nella percezione di un consumatore normalmente avveduto.