Con la circolare 20 settembre 2022 il Ministero del lavoro analizza il nuovo quadro normativo sugli obblighi, che incombono sul datore di lavoro, di fornire in maniera chiara e trasparente tutte le informazioni del rapporto di lavoro. Il Decreto Trasparenza – vigente dallo scorso 13 agosto – è stato ripetutamente oggetto della dottrina che si è spinta in diverse e concrete interpretazioni logico-giuridiche le quali, a seguito dell’espressione del Ministero, meritano – nella maggioranza dei casi – di essere rivisitate.
ATTENZIONE: Molti lettori converranno con chi scrive che l’ultima attuale lettura fornita dal Ministero del lavoro fa un notevole balzo indietro rispetto alle indicazioni emanate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare 10 agosto 2022, n. 4, laddove tra le prescrizioni degli specifici obblighi informativi vi è – tra le altre – una nuova perimetrazione degli altri congedi retribuiti, il dietro-front rispetto alla possibilità di adempiere ai predetti obblighi attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali qualora gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale, nonché l’obbligo di esplicitare gli eventuali fondi di previdenza integrativa aziendali o settoriali.
Il decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, pubblicato in G.U. 29 luglio 2022, n. 176, ha impattato fortemente sui processi di assunzione dei datori di lavoro/committenti relativamente ai nuovi obblighi di informazione previsti dall’art. 3 del predetto decreto legislativo.
Facendo seguito alle indicazioni amministrative dell’INL, con la circolare 20 settembre 2022, n. 19, anche il Ministero del lavoro ha ritenuto necessario emanare le prime indicazioni interpretative sui nuovi obblighi di informazione con il chiaro obiettivo di favorire un’uniforme applicazione della nuova disciplina.
Valutato il quadro normativo europeo, avente l’obiettivo di innalzare i livelli di tutela dei lavoratori, l’interpretazione fornita dal Ministero appare particolarmente restrittiva e ciò anche rispetto ai contenuti stringenti previsti dalla modifica legislativa in rapporto con la Direttiva (UE) n. 1152/2019.
Si noti, di seguito, il raffronto tra i due provvedimenti amministrativi sopracitati:
Circolare INL n. 4/2022 |
Circolare ML n. 19/2022 |
(…) fermo restando che con la consegna del contratto individuale di lavoro o di copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro il lavoratore deve essere informato dei principali contenuti degli istituti di cui all’art. 1 (orario di lavoro giornaliero per n. giorni alla settimana; importo retribuzione mensile per numero delle mensilità, ecc.), la relativa disciplina di dettagli potrà essere comunicata attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali qualora gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale. |
(…) il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore le informazioni di base riferite ai singoli istituti di cui al nuovo articolo 1 del richiamo decreto legislativo n. 152, potendo rinviare per le informazioni di maggior dettaglio al contratto collettivo o ai documenti aziendali che devono essere consegnati o messi a disposizione del lavoratore secondo le prassi aziendali. La ratio della riforma è, quindi, quella di ampliare e rafforzare gli obblighi informativi, ma tale operazione di ampliamento e di rafforzamento deve essere calata nella concretezza del rapporto di lavoro. Con ciò si vuole segnalare che l’obbligo informativo non è assolto con l’astratto richiamo delle norme di legge che regolano i singoli istituti oggetto dell’informativa, bensì attraverso la comunicazione di come tali istituti, nel concreto, si atteggiano, nei limiti consentiti dalla legge, nel rapporto tra le parti, anche attraverso il richiamo alla contrattazione collettiva applicabile. |
Come si può evincere, in senso contrario alle indicazioni dell’INL, secondo il Ministero del lavoro non è sufficiente – salvo che per gli elementi essenziali del contratto – un mero rinvio al contratto collettivo applicato o agli altri documenti aziendali messi a disposizione secondo la prassi aziendale, bensì è necessario, in conformità con la decantata ratio della riforma, che il datore di lavoro esplichi gli istituti che, nel concreto, si atteggiano nel rapporto tra le parti.
Concretezza che, sempre secondo l’Amministrazione, trova conferma nell’art. 3, d. lgs. n. 152/1997, secondo cui “il datore di lavoro e il committente pubblico e privato comunicano per iscritto al lavoratore, entro il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica, qualsiasi variazione degli elementi di cui agli artt. 1, 1-bis, 2 che non derivi direttamente dalla modifica di disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo.
Premesso che una tale disposizione, comunque, genera – inevitabilmente – una discrasia tra le informazioni fornite in fase di assunzione e quelle necessarie, invece, all’atto dell’effettivo interesse del lavoratore – risultando conseguentemente vani tutti gli sforzi informativi del datore di lavoro e a scapito, proprio, della trasparenza e della concretezza – secondo l’orientamento ministeriale il valore e l’importanza di una corretta informativa deve essere modulata in maniera proporzionata e sostenibile per i datori di lavoro.
Nel seguire il ragionamento logico-giuridico che porta ad affermare una visione così stringente il Dicastero si sofferma su diversi considerando della Direttiva (UE) 2019/1152 ed in particolare dal n. 3 al n. 37.
In tal senso però, dimentica di citare i seguenti ed altrettanti considerando delle linee guida europee:
Il considerando (25), giacché nell’assoluto silenzio degli organi preposti, è stato – in qualche modo – recepito dal sesto comma dell’art. 4, decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, secondo cui le disposizioni normative e dei contratti collettivi nazionali che devono essere comunicate dai datori di lavoro saranno disponibili a tutti gratuitamente e in modo trasparente, chiaro, completo e facilmente accessibile, tramite il sito istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Sul considerando (48), invece, è davvero difficile pensare che una così complessa ed articolata disciplina possa non impattare nella gestione amministrativa, finanziaria o giuridica di un’impresa. Resterebbe, infine, interessante conoscere con quali modalità verranno approfondite e definite le valutazioni circa gli effettivi impattivi della norma.
Il punto 1.1 della Circolare ministeriale in commento si sofferma sull’art. 1, comma 1, lett. l), decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152, secondo cui il datore di lavoro deve informare il lavoratore sulla durata del congedo per ferie, nonché degli altri congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all’atto dell’informazione, le modalità di determinazione e fruizione degli stessi.
Se sulla disciplina delle ferie retribuite non vi sono particolari criticità – sempreché venga opportunamente esplicata la disciplina del contratto collettivo soggettivamente applicabile al rapporto di lavoro -, per quanto concerne gli altri congedi retribuiti, l’indicazione ministeriale individua una nuova perimetrazione del concetto di congedo, ricollegandolo esclusivamente alle astensioni dal lavoro espressamente qualificate dal legislatore come “congedo”.
Ciò assunto, in via esemplificativa e non esaustiva, andranno indicati:
ATTENZIONE: Nell’evidenziare che ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi, secondo cui “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e della intenzione del legislatore”, l’interpretazione del Ministero appare del tutto slegata, sia sul senso proprio del termine “congedo”, che sull’intento – prima sottolineato – di innalzare i livelli di tutela per i lavoratori. In tal senso, infatti, restringere il campo operativo a cause di sospensione del rapporto di lavoro che, pur non essendo a carico – spesso – del datore di lavoro, sulla base della sola denominazione di “congedo” non appare idonea ad assicurare quel livello di tutela richiesto dall’UE. Più generalmente, con il termine letterale “congedo” si intende – generalmente – una licenza di partire, di allontanarsi, il ché fa propendere per l’esplicitare ogni forma di allontanamento, naturalmente, temporaneo dal luogo di lavoro.
Rimanendo nell’attesa di superare le prime indicazioni ministeriali, già nel precedente Approfondimento Lavoro dell’11 agosto scorso, si è ritenuto porre all’attenzione dei lettori il dover illustrare: i congedi matrimoniali, i congedi per gravi motivi personali, i congedi per motivi di studio, il congedo straordinario ovvero i permessi di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, i congedi parentali, i congedi di paternità o maternità e le ipotesi di anticipazione e/o estensione, i permessi sindacali o per donazione sangue.
NOTA BENE: Non sarà sufficiente richiamare la sola disciplina legale dei predetti congedi dovendo, il datore di lavoro, esplicare anche le eventuali particolarità stabilite dal contratto collettivo, in ossequio al principio di concretezza dell’informazione sul rapporto di lavoro già richiamato in precedenza.
Quanto agli obblighi di indicare l’importo iniziale della retribuzione o comunque il compenso e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo e delle modalità di pagamento, dovranno essere forniti al lavoratore i corretti dati concernenti la composizione della propria retribuzione, il periodo e le forme di pagamento. Devono intendersi esclusi quegli elementi e/o componenti non determinabili al momento dell’assunzione, sicché, ad esempio, non dovranno essere indicati eventuali premi di risultato, ancorché, sempre stando all’interpretazione del Ministero, dovranno essere indicati i criteri con i quale tali elementi variabili saranno riconosciuti. Si rammenta che, spesso, tali elementi retributivi accessori sono legati a procedure di calcolo complesse, la cui – addirittura – composizione può essere redistribuita in percentuale su molteplici fattori ed indicatori economico/finanziari e la cui determinazione avviene più che frequentemente alla presenza delle rappresentanze sindacali. Spiegare in maniera chiara e trasparente il funzionamento arzigogolato di alcuni premi di produzione/produttività può non essere così semplice ed immediato.
Le misure di welfare aziendale o i buoni pasto, invece, non sono oggetto dell’informativa, salvo che non siano previste dalla contrattazione collettiva o dalla prassi aziendale come componenti dell’assetto retributivo. La domanda sorge spontanea: quando tali elementi retributivi possono considerarsi componenti dell’assetto retributivo?
Parimenti con quanto avviene con i premi di produzione, anche le misure di welfare aziendale sono inserite all’interno di contratti aziendali o, per lo meno, di regolamenti aziendali che ne disciplinano spettanza, modalità di erogazione, corresponsione e quant’altro. Come possono, allora, tali strumenti considerarsi estranei all’assetto retributivo?
Per quanto concerne l’orario di lavoro programmato (art. 1, comma 1, lett. o)), le informazioni devono riguardare, più che la disciplina legale, i riferimenti del contratto collettivo nazionale e degli eventuali accordi aziendali che regolano il tema dell’orario nel luogo di lavoro. Le informazioni dovranno essere incentrate sulle condizioni di cambiamenti di turno, sulle modalità e limiti di espletamento del lavoro straordinario, nonché sulle relative maggiorazioni previste.
Laddove l’impresa adotti un regime orario a turni ovvero un orario multi-periodale sarà sufficiente esplicitare le modalità con cui allo stesso saranno fornite le informazioni in materia.
Anche in questo caso, a parere di chi scrive, l’interpretazione ministeriale si è spinta oltre il dettato normativo.
L’art. 1, comma 1, lett. r), della novella in commento, prevede che il datore di lavoro informi il dipendente sugli enti e sugli istituti che ricevono i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti dal datore di lavoro e su qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso.
Tra gli enti e gli istituti, nei casi più comuni rientreranno sicuramente l’INPS, l’INAIL e le Casse edili/Edilcasse, ma anche gli enti bilaterali ed i fondi sanitari previsti dal contratto collettivo o, comunque, in uso dal datore di lavoro.
L’interpretazione secondo cui, invece, tra gli obblighi informativi rientri anche la possibilità di aderire a fondi di previdenza integrativa aziendali o settoriali, appare quantomai impropria.
NOTA BENE: Invero, stando al tenore letterale della norma, i fondi di previdenza complementare – salvo casi specifici – non ricevono contributi aggiuntivi alla sola quota di trattamento di fine rapporto maturata e, certamente, quest’ultima non può considerarsi un contributo in senso stretto.
In ultimo, si evidenza come già i datori di lavoro forniscano – all’atto dell’assunzione – il modello di Scelta per la destinazione del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 8, comma 7, decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ed il relativo questionario di cui al precedente comma 6.
QUADRO NORMATIVO Decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104 |
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