Le condizioni di difficoltà finanziaria in cui versa l’impresa, che siano causa diretta di plurime violazioni tributarie, possono giustificare l’applicazione di sanzioni meno gravose per il contribuente.
L’Agenzia delle Entrate ha promosso ricorso per cassazione contro la decisione della CTR che, in una controversia relativa all’impugnazione di una cartella esattoriale per mancato pagamento delle ritenute Irpef relative all’anno 1983, determinato dalla situazione di crisi aziendale della contribuente, aveva rigettato l’appello dell’Ufficio.
I giudici regionali, in particolare, avevano ritenuto che le condizioni di difficoltà finanziaria in cui da tempo versava l’impresa, conosciute dall’Ufficio, fossero state la causa diretta delle violazioni tributarie commesse, per cui era stata ritenuta applicabile la normativa sull’illecito continuato, vigente ratione temporis, di cui all’articolo 8 della Legge n. 4/1929, per essere occorse più violazioni commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione.
Detta previsione, prevedeva, infatti, che nel caso di più violazioni commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione può essere applicata una sola volta, tenuto conto delle circostanze dei fatti e della personalità dell'autore delle violazioni.
La Suprema corte, – ordinanza n. 6279 del 14 marzo 2018 – ha accolto il motivo dedotto dal Fisco che lamentava un’insufficiente motivazione sugli elementi probatori dallo stesso documentati circa l’insussistenza del presupposto della cosiddetta “medesima risoluzione” ai fini dell’applicazione della disciplina della continuazione.
Ed è stato, altresì, accolto l’unico motivo sollevato dalla contribuente nel proprio ricorso incidentale, con il quale era lamentata un’omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione dello ius superveniens sulle sanzioni, con applicazione della normativa più favorevole per il principio del favor rei.
Sul punto, la Sezione tributaria civile di Cassazione ha evidenziato come, dall’esposizione del fatto contenuta nella decisione impugnata, si evinceva che la contribuente aveva chiesto l’applicazione della normativa più favorevole di cui alla Legge n. 4/1929 citata, sempre che non risultasse più favorevole la disciplina dell’illecito continuativo di cui all’articolo 12 comma 1 e 4 del Decreto legislativo n. 472/1997. Richiesta, tuttavia, che non era stata esaminata dalla CTR la quale si era limitata a ritenere applicabile la Legge n. 4/1929.
Spetta al giudice di merito – ha spiegato, quindi, la Corte – accertare quale sia la disciplina più favorevole, applicandola alla concreta fattispecie.
Per costante giurisprudenza in tema di sanzioni extrapenali per illeciti tributari, infatti, il principio secondo cui "ove la legge in vigore al momento dell’infrazione e quella successiva prevedano sanzioni di diversa intensità, trova applicazione la legge più favorevole al contribuente" opera anche con riferimento alle ipotesi di ripetute innovazioni della medesima disciplina.
E’ quindi il giudice di merito – ha concluso la Cassazione - se ritiene sussistere il presupposto della “medesima risoluzione” quale presupposto della continuazione, a dover applicare la disciplina del cumulo giuridico di una pluralità di violazioni commesse anche in tempi diversi, retroattivamente applicabile a tutte le violazioni non definitivamente irrogate. Questo, ove non accerti che nel calcolo delle sanzioni applicate, nella concreta fattispecie, sia più favorevole il regime previsto dalla Legge n. 4 sopra citata.
Proprio a tal fine, la decisione impugnata è stata cassata, con rinvio per un nuovo esame nel merito della vicenda.
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