Il credito d’imposta Art Bonus può essere riconosciuto solo in presenza di un provvedimento formale che attesti l’interesse culturale del bene. Lo chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 119/2025.
Con questo documento di prassi, l’Amministrazione finanziaria precisa che, per stabilire se la costituzione di un diritto di superficie finalizzato alla ristrutturazione di un teatro consenta di accedere all’Art Bonus, è indispensabile che il bene sia qualificato come bene culturale mediante un’apposita verifica da parte del Ministero della Cultura.
Un Comune, per il tramite del Sindaco in qualità di rappresentante legale, ha rappresentato di aver detenuto in locazione, dal 28 giugno 2011 al 27 giugno 2020, un immobile di proprietà della Società Cooperativa Casa del Popolo, destinato a teatro e luogo di pubblico spettacolo. A seguito della necessità di avviare importanti lavori di ristrutturazione sull’immobile, il Consiglio comunale, con deliberazione n. 12 del 25 giugno 2020, ha autorizzato la costituzione di un diritto di superficie a titolo oneroso, ai sensi degli articoli 952, secondo comma, e 953 del Codice civile. Tale diritto, con durata di 25 anni rinnovabili, è stato formalizzato mediante contratto sottoscritto l’11 marzo 2021, con la previsione della risoluzione automatica in caso di mancato completamento dei lavori entro tre anni dalla stipula.
In questo contesto, l’Istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se gli interventi di ristrutturazione realizzati sull’immobile potessero qualificarsi come interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, e se, conseguentemente, le erogazioni liberali ricevute per finanziare tali interventi potessero beneficiare del credito d’imposta previsto dal c.d. “Art Bonus”.
L’Art Bonus è una misura di agevolazione fiscale introdotta dall’articolo 1 del Decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106. La normativa prevede il riconoscimento di un credito d’imposta pari al 65% delle erogazioni liberali effettuate in denaro da parte di persone fisiche, enti non commerciali e soggetti titolari di reddito d’impresa. L'obiettivo è favorire interventi di manutenzione, protezione e restauro dei beni culturali pubblici, oltre che il sostegno di istituti e luoghi della cultura pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche, dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei festival e delle imprese e centri di produzione teatrale e di danza.
Oltre agli interventi diretti sui beni culturali pubblici, il beneficio si estende anche alle erogazioni destinate ai soggetti concessionari o affidatari dei beni oggetto di interventi, purché questi siano pubblici e l’intervento abbia le caratteristiche richieste. Come chiarito nelle circolari dell’Agenzia delle Entrate n. 24/E del 31 luglio 2014 e n. 34/E del 28 dicembre 2023, rientrano tra le spese agevolabili non solo quelle direttamente connesse ai lavori di manutenzione e restauro, ma anche quelle relative alla progettazione degli interventi.
Dal punto di vista soggettivo, quindi, i beneficiari del credito possono essere privati, enti non commerciali e imprese; dal punto di vista oggettivo, gli interventi devono riguardare immobili o strutture con una finalità culturale pubblica, riconosciuti formalmente come tali ai sensi della normativa vigente, in particolare secondo i criteri stabiliti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).
Nella risposta a interpello n. 119/2025, l’Agenzia delle Entrate precisa che, ai fini dell’accesso al credito d’imposta Art Bonus, non è sufficiente che un bene sia oggetto di un diritto di superficie o che sia di utilizzo pubblico, ma è necessario che sia formalmente riconosciuto come bene culturale ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Nel caso esaminato, il Comune aveva costituito un diritto di superficie su un teatro per realizzare interventi di ristrutturazione. Tuttavia, il Ministero della Cultura – sentito dall’Agenzia – ha evidenziato alcune criticità: in particolare, la presenza nel contratto di una clausola risolutiva che mette in discussione la stabilità del diritto di superficie e la mancanza di elementi sufficienti a dimostrare l’effettivo valore culturale dell’immobile.
Secondo la normativa di riferimento (articoli 10 e 12 del Codice dei beni culturali), i beni pubblici con più di settant’anni o realizzati da autori non più viventi sono presuntivamente beni culturali, ma tale presunzione è solo provvisoria. Per acquisire definitivamente la qualifica di bene culturale, è necessaria una verifica formale da parte del Ministero, che si conclude con l’adozione di uno specifico provvedimento di riconoscimento.
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