Assegni di maternità e di natalità non estesi agli stranieri titolari del permesso unico non soggiornanti di lungo periodo? Normativa italiana non in linea con il diritto dell’Unione europea.
Dalla Corte di giustizia giunge un giudizio di non conformità, alle norme Ue, della normativa italiana che esclude i cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso unico ma non soggiornanti di lungo periodo, dal beneficio dell’assegno di natalità e di quello di maternità.
I giudici europei hanno risposto a una domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata nell’ambito di una controversia che vedeva contrapposti, da una parte, 8 cittadini di paesi terzi (non europei), titolari di un permesso unico di lavoro, e, dall’altra, l’INPS, relativamente al rifiuto opposto dall’Istituto previdenziale italiano alla domanda dei primi di godimento delle provvidenze di natalità e di maternità previste dalla normativa nazionale.
I richiedenti si erano visti negare il beneficio dell’assegno di natalità da parte dell’INPS con la motivazione che non erano titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo. I giudici di merito, davanti ai quali essi avevano contestato il rifiuto, avevano accolto le loro richieste dando applicazione al principio della parità di trattamento.
La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulle impugnazioni proposte contro le decisioni di varie corti d’appello, aveva ritenuto che la suddetta disciplina violasse diverse disposizioni della Costituzione italiana, ed aveva pertanto aveva adito la Corte costituzionale.
Era stata quest'ultima, quindi, a decidere di sottoporre alla Corte Ue la questione in esame, concernente, in particolare, l’interpretazione dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché, tra le altre norme comunitarie, dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, relativa alla procedura di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro.
La Consulta aveva chiesto, nel dettaglio, se le due prestazioni - assegno di natalità e assegno di maternità - rientrassero nell’ambito di applicazione della Carta dei diritti fondamentali Ue e se, ciò posto, il diritto dell’Unione dovesse essere interpretato nel senso di non consentire una normativa nazionale, come quella italiana, che non estende agli stranieri titolari del permesso unico le provvidenze di maternità e natalità, già concesse agli stranieri titolari di permesso di soggiorno dell’Unione, per soggiornanti di lungo periodo.
Con sentenza depositata il 2 settembre 2021, relativamente alla causa n. C-350/20, la Grande sezione della Corte di giustizia ha risposto affermativamente a entrambi i quesiti.
Nella decisione, è stato evidenziato come l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrino nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della richiamata direttiva beneficiano del diritto alla parità di trattamento.
E’ stato, inoltre, rilevato che la Repubblica italiana non si è avvalsa della facoltà offerta agli Stati membri di limitare la parità di trattamento, per come previsto dalla medesima direttiva.
Una normativa nazionale come quella in esame, quindi, risulta non conforme all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva.
Queste, in definitiva, le conclusioni della Corte di giustizia: “…l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa”.
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