Convivenza di fatto in Italia? E' qui che si pagano le imposte

Pubblicato il 11 novembre 2017

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione di merito che aveva annullato l’atto di irrogazione di sanzioni notificato ad un cittadino russo per aver omesso la compilazione del modulo RW del modello unico.

Pronunce di merito sul conflitto di residenza

Nel dettaglio, la Commissione tributaria provinciale, prima, e regionale, poi, avevano accolto le doglianze sollevate dall’uomo,sul rilievo che l'articolo 4 della convenzione tra Italia e Federazione Russa, contro le doppie imposizioni, prevede, come primo dei criteri risolutivi al fine di risolvere il conflitto di residenza, quello secondo cui, quando una persona fisica è considerata residente in entrambi gli Stati contraenti, detta persona è considerata residente nello Stato contraente dove ha una abitazione permanente.

Poiché, quindi, il contribuente aveva dimostrato di essere proprietario, nel territorio russo, di una casa di civile abitazione e di essere stato ivi presente, per diversi giorni, nel corso dell’anno di riferimento – mentre, per contro, non era risultato che possedesse in Italia una casa di abitazione - si doveva ritenere che egli avesse in Russia, una abitazione permanente, cosicché doveva essere considerato un soggetto convenzionalmente ivi residente.

Cassazione: irrilevante che lo straniero abbia casa all’estero se convive in Italia

Contro questa statuizione ha avanzato ricorso, come detto, l’amministrazione finanziaria italiana, ricorso ritenuto fondato dalla Suprema corte.

Con sentenza n. 26638 del 10 novembre 2017, difatti, gli Ermellini hanno precisato che l'espressione utilizzata dagli Stati contraenti (Italia e Russia) e ratificata nella Legge di conversione n. 372/1997, laddove menziona l'abitazione permanente quale criterio per individuare lo Stato ove il contribuente ha la residenza, “vada interpretata al lume del tenore letterale del modello OCSE di riferimento cui si sono ispirati le parti contraenti”, nella specie, ossia, avuto riguardo alla situazione di fatto che determina la stabile disponibilità di fatto di una abitazione in capo al contribuente.

Orbene, nel caso esaminato, non era contestato che il contribuente risiedesse a Milano, presso l'abitazione di proprietà della convivente. Così, tenuto conto del rilievo che assumeva già nell’anno di riferimento la convivenza di fatto - ora riconosciuta e disciplinata dalla Legge n. 76/2016 – se ne doveva dedurre che il contribuente disponesse di una abitazione permanente in Italia.

Conseguentemente, i giudici tributari, per accertare se l’uomo dovesse essere assoggettato ad imposta nello Stato italiano, avrebbero dovuto applicare il secondo criterio previsto dall'articolo 4, lettera a), della Convenzione citata, secondo cui “quando la persona dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, è considerata residente nello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette”.

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