Qualora un soggetto indagato sia sottoposto, in uno Stato Schengen, ad istruttoria poco approfondita, può essere nuovamente soggetto ad indagini in altro Stato Schengen, senza che sia violato il principio del ne bis in idem.
E’ quanto, in sintesi, enunciato dalla Corte di Giustizia europea, grande sezione, dando risposta ad un quesito pregiudiziale, vertente sull'interpretazione degli artt. 54 e 55 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen firmata il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (anche detta CAAS), nonché degli artt. 50 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Tale domanda pregiudiziale è stata presentata nell'ambito di un procedimento penale avviato in Germania, nei confronti di un soggetto accusato di estorsione aggravata a fini di rapina sul territorio del suddetto Stato membro.
In risposta al quesito posto dal giudice del rinvio, la Corte - nell'ambito della causa n. 486/14 del 29 giugno 2016 – ha enunciato il principio secondo cui il ne bis in idem ex art. 54 CAAS, letto alla luce dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che una decisione del pubblico ministero che pone fine all'azione penale e conclude definitivamente, salvo riapertura o annullamento, il procedimento di istruzione condotto nei confronti di una persona, senza che siano state irrogate sanzioni, non può essere considerata una decisione definitiva, ai sensi dei suddetto articoli, qualora dalla motivazione di tale decisione risulti – come nel caso qui trattato - che detto procedimento sia stato chiuso senza previa istruzione approfondita, laddove la mancata audizione della vittima e di un eventuale testimone costituisce un indizio dell’assenza di una siffatta istruzione.
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