Il Decreto Mef del 6 ottobre 2011 che impone ai cittadini extracomunitari richiedenti il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato, di pagare un contributo di importo variabile tra gli 80 e 200 euro, risulta incompatibile con la direttiva europea relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003, come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011).
Lo ha deciso il Tar Lazio, sezione seconda quater, accogliendo il ricorso della CGL e dell’INCA, volto per l’appunto all'annullamento del suddetto Decreto Mef concernente il “Contributo per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno” e di ogni atto presupposto consequenziale e connesso.
Il Tribunale amministrativo ha infatti chiarito, facendo richiamo alla giurisprudenza europea, che seppur gli Stati membri siano legittimati a subordinare il rilascio di permessi di soggiorno – secondo la direttiva 2003/109 – alla riscossione di un contributo, resta il fatto che, in ossequio al principio di proporzionalità, l’importo fissato per detto contributo non deve essere di ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo, nonché al godimento degli altri diritti che dalla concessione di tale status derivano.
Occorre infatti considerare – precisa ancora il Tar con sentenza n. 6095 del 24 maggio 2016 - che l’incidenza economica di siffatto contributo può essere considerevole per taluni cittadini di paesi terzi (che soddisfano le condizioni poste dalla citata direttiva europea per il rilascio del permesso di soggiorno), a maggior ragione se si consideri che, vista la durata di tali permessi, i cittadini sono costretti a chiederne il rinnovo assai di frequente e che all'importo di detto tributo, può inoltre aggiungersi quello di altri, previsti dalla preesistente normativa nazionale.
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