I contratti collettivi post-corporativi di lavoro costituiscono atti di natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti entrambi iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi ovvero li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione alcuna, delle relative clausole al singolo rapporto di lavoro.
L’assunto, conforme agli orientamenti di legittimità, è stato pronunciato nella sentenza della Corte di Cassazione 19 ottobre 2021, n. 28905.
Nella fattispecie in esame, il datore di lavoro ricorreva innanzi alla Suprema Corte avverso il decreto ingiuntivo emesso dalla Corte d’Appello di Roma relativamente alla condanna del pagamento di un premio di partecipazione previsto dal contratto interaziendale disdetto dalla società datrice di lavoro.
Secondo i giudici, la continua erogazione di molteplici e significative voci retributive e/o incentivanti e/o indennitarie, previste proprio dal contratto integrativo interaziendale, porta a ritenere che, pur avendo il ricorrente dato disdetta all’associazione datoriale firmataria (Confindustria), implicitamente avesse mantenuto l’applicazione della contrattazione collettiva.
Gli Ermellini, premesso che l’accertamento sulla desumibile applicazione per fatti concludenti di un contratto collettivo è demandata ai giudici di merito, hanno accertato che è stata adeguatamente provata la costante e prolungata applicazione delle predette voci retributive, anche in periodi successivi alla disdetta da Confindustria, e, di converso, la società ricorrente non ha nemmeno indicato gli ulteriori istituti contrattuali – del contratto collettivo interaziendale – eventualmente non applicati al fine di escluderne l’adesione, limitandosi a negare la costante e prolungata applicazione di “tutte” le clausole pattizie.
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