Contratto a termine: rinnovo, proroga e prosecuzione di fatto a confronto

Pubblicato il 08 giugno 2023

Il decreto lavoro (articolo 24, decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48) ha nuovamente modificato la disciplina del contratto di lavoro a termine rivisitando le causali che ne legittimano la sottoscrizione, il rinnovo e, alle condizioni che vedremo, la proroga.

Ferme restando le eventuali “limature” che potrebbe essere apportate al corpus normativo nel corso dell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto, soffermiamoci sul regime delle proroghe e dei rinnovi del contratto a termine di cui all’articolo 21 del D. Lgs. n. 81/2015 e sulla prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine (articolo 22 dello stesso decreto legislativo).

Fatte salve le ipotesi di attività stagionali individuate attualmente dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e dai contratti collettivi, per le quali vigono espresse deroghe, quando è possibile ricorrere al rinnovo e alla proroga del contratto a termine? In quali casi è ammessa la prosecuzione di fatto? Ed infine quale opzione si presenta più conveniente per il datore di lavoro?

Di seguito, tutte le risposte.

Proroga dei contratti a termine

Il datore di lavoro, con il consenso del lavoratore, può prorogare il contratto a tempo determinato se la durata iniziale del contratto è inferiore a 24 mesi

Il numero massimo di proroghe è di 4 entro i 24 mesi di durata massima del contratto, a prescindere dal numero dei contratti.

Dalla data di decorrenza della quinta proroga il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.

La proroga del contratto a tempo determinato:

NOTA BENE: A seguito delle novità introdotte dal decreto lavoro, il ricorso al contratto a tempo determinato di durata complessiva superiore a 12 mesi e non superiore a 24 mesi è ammesso al ricorrere delle seguenti causali:

Leggi ancheDecreto Lavoro e contratto a termine: come orientarsi sulle causali


Come chiarito dal Ministero del lavoro (circolare 31 ottobre 2018, n. 17), a differenza del rinnovo, la proroga presuppone che restino invariate le ragioni giustificatrici dell’assunzione a termine iniziale, ”fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza”.

Il datore di lavoro che vuole prorogare legittimamente un contratto a termine non potrà pertanto modificare la motivazione inziale perché la modifica darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto.

E’ questo un aspetto molto importante da tenere presente, considerando la diversa onerosità del rinnovo.

La legge Fornero (articolo 2, comma 28, legge 28 giugno 2012, n. 92) pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di versamento di un contributo addizionale di finanziamento NASpI, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato.

In caso di proroga del contratto non si applica invece la maggiorazione dello 0,5%.

ATTENZIONE: Al riguardo vale la pena sottolineare che, tra le fattispecie escluse dal contributo addizionale in parola (articolo 2, commi 28 e 29, della legge n. 92/2012), rientrano anche i lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti.

La proroga del contratto a termine è soggetta a comunicazione obbligatoria con UNILAV proroga ai Servizi per l’impiego entro i 5 giorni successivi.

Rinnovo

Ricadono invece nella disciplina del rinnovo la stipula di un nuovo contratto a termine successivamente alla scadenza del precedente contratto ovvero, come abbiamo visto in precedenza, l’ipotesi di ricorso ad una ragione giustificatrice diversa rispetto a quella posta alla base dell’assunzione a termine iniziale.

A differenza della proroga, il rinnovo di un contratto a tempo determinato richiede sempre l'esistenza delle causali di cui all'art. 19, comma 1, D. Lgs. n. 81/2015 ed è possibile nel rispetto di un periodo cuscinetto tra la sottoscrizione dei due contratti a termine, pari a:

La violazione di tali regole (cd. stop and go) comporta la trasformazione del secondo contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Sotto il profilo dei costi, il rinnovo si presenta molto più oneroso per il datore di lavoro essendo previsto un incremento dello 0,5% per ciascun rinnovo del contributo addizionale NASpI a carico del datore di lavoro, pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Costi del rinnovo

 

Contributo addizionale

Contratto a termine iniziale

1,4%;

Primo rinnovo

1.9% (1,4% + 0,5%)

Secondo rinnovo

2.4% (1,9% + 0,5%)

Terzo rinnovo

2,9% (2,4% + 0,5%)

 

ATTENZIONE: E’ prevista la restituzione del predetto contributo addizionale nelle ipotesi di cui all’articolo 2, comma 30, della legge n. 92/2012.

Prosecuzione di fatto del rapporto

L’articolo 22, D. Lgs. n. 81/2015, riconosce, nel rispetto dei generali limiti di durata massima prima indicati, la possibilità che il rapporto di lavoro prosegua di fatto dopo la scadenza del termine (sia quello inizialmente fissato sia quello successivamente prorogato), cd. coda contrattuale.

In tal caso il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore.

La prosecuzione di fatto è possibile per un massimo di:

Durate superiori ai limiti massimi prima indicati comportano, dalla scadenza dei termini, la trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato.

In caso di prosecuzione di fatto non è prevista alcuna comunicazione ai Servizi per l’impiego.

Considerazioni conclusive

L’analisi che precede consente di estrapolare alcune importanti evidenze sotto il profilo dei costi aziendali.

Il rinnovo di un contratto a termine (vale a dire, di regola, la riassunzione a termine dello stesso lavoratore da parte dello stesso datore di lavoro successivamente alla scadenza del termine dell’assunzione a termine iniziale) è particolarmente oneroso per il datore di lavoro che dovrà versare il contributo NASpI (1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali) e la maggiorazione incrementale dello 0,5% in base al numero dei rinnovi.

La proroga (vale a dire, di regola, il differimento del termine apposto al contratto, pattuito con il lavoratore prima della scadenza dello stesso) comporta invece il versamento del solo contributo addizionale NASpI pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

La prosecuzione di fatto (vale a dire la continuazione del rapporto di lavoro a termine dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato) comporta il versamento, a carico del datore di lavoro, di una maggiorazione retributiva. In tal caso il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore ed entro i limiti temporali consentiti.

È pertanto evidente che il datore di lavoro che si orienta verso quest’ultima opzione paga, per la maggiore flessibilità, un conto decisamente salato.

Senza poi considerare che le assunzioni a termine e le eventuali proroghe, se agevolate, possono godere di esoneri e sgravi contributivi e, in specifici casi (trasformazione in contratto a tempo indeterminato o assunzione del lavoratore a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine), è ammessa la restituzione del contributo addizionale e dell’incremento.

 

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