Contratti a termine: limiti e ricorso alla contrattazione collettiva
Pubblicato il 13 novembre 2014
Ai sensi del nuovo art. 1, comma 1,
D.Lgs. n. 368 del 6 settembre 2001, il contratto di lavoro a tempo
determinato può essere stipulato per una durata non superiore a trentasei mesi - comprensiva di eventuali
proroghe -
senza necessità di alcuna causale giustificativa.
Il limite
Tuttavia a fare da contro altare alla suddetta apertura, il Legislatore ha inserito un
limite quantitativo: il
numero complessivo di contratti a termine stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il
limite
del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione.
Per i datori di lavoro che occupano
fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di
lavoro a tempo determinato.
Sono
esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di
lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
b) per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco
allegato al DPR 7 ottobre 1963, n. 1525. Per quanto concerne le ragioni di stagionalità, ulteriori ipotesi
possono essere rintracciate nell'ambito del contratto collettivo applicato, anche aziendale, comprese le
assunzioni a termine per far fronte ad incrementi di produttività, le quali potranno rientrare nella
ragioni “di stagionalità” solo in caso di espressa previsione della contrattazione collettiva (
Ministero del Lavoro, circolare n. 18/2014);
c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
d) con lavoratori di età superiore a 55 anni.
La circolare ministeriale n. 18 del 30 luglio 2014 ha, altresì, chiarito che sono
esenti da limiti anche:
- i contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 28 del D.L. n. 179/2012 da parte di una start-up
innovativa, secondo la disciplina indicata dallo stesso Decreto del 2012;
- le altre fattispecie di esclusione indicate dall'art. 10 del D.Lgs. n. 368/2001, ivi comprese quella
relativa alle assunzioni ai sensi dell’art. 8, comma 2, Legge n. 223/1991 e quella di cui al nuovo
comma 5 bis, D.Lgs. n. 368/2001, per i contratti stipulati da istituti pubblici ed enti privati di ricerca.
Inoltre,
non concorrono al superamento dei limiti quantitativi le assunzioni di disabili con contratto a tempo
determinato ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 68/1999 e le acquisizioni di personale a termine nelle ipotesi
di trasferimenti d'azienda o di rami di azienda.
In tale ultimo caso, per il Ministero del Lavoro, i relativi rapporti a tempo determinato potranno essere
prorogati nel rispetto dell’attuale disciplina, mentre un eventuale rinnovo degli stessi dovrà essere tenuto
in conto ai fini della valutazione sul superamento dei limiti quantitativi.
Ad ogni modo, la norma prevede che i
contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi, possono individuare, anche in misura non uniforme, limiti
quantitativi diversi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato.
Per il Ministero del Lavoro, tale previsione permette alle parti sociali di
derogare legittimamente:
- al limite percentuale legale del 20%, aumentandolo o diminuendolo;
- alla scelta del Legislatore di calcolare la percentuale di contratti a termine stipulabili, tenendo
conto della realtà aziendale al 1° gennaio dell'anno di assunzione del lavoratore a termine.
In sede di prima applicazione del limite percentuale, conservano efficacia, se diversi, i limiti percentuali già
stabiliti dai vigenti CCNL.
Il calcolo
Seguendo le indicazioni ministeriali, il datore di lavoro - in assenza di diversa disciplina contrattuale - è
tenuto a verificare quanti rapporti di lavoro a tempo indeterminato erano in vigore
alla data del 1° gennaio
dell’anno di stipula del contratto a termine o, per le attività iniziate durante l’anno, alla data di assunzione
del primo lavoratore a tempo determinato.
Da tale verifica vanno esclusi:
- i rapporti di natura autonoma;
- i rapporti di lavoro accessorio;
- i lavoratori parasubordinati;
- gli associati in partecipazione.
Viceversa, vanno
conteggiati:
- i lavoratori part-time, in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno;
- i dirigenti a tempo indeterminato;
- gli apprendisti, eccezione fatta per quelli a tempo determinato.
Qualora la percentuale del 20% dia luogo ad un numero decimale, il datore di lavoro può
arrotondare il
risultato all'unità superiore, nel caso in cui il decimale sia uguale o superiore a 0,5.
Il numero dei contratti a termine stipulabili nell’anno, non rappresenta, comunque, un limite fisso annuale,
ma una proporzione tra lavoratori “stabili” e a termine per cui, allo scadere di un contratto, sarà possibile
stipularne un altro, purché si rispetti la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%.
La sanzione
Le istruzioni sul calcolo del limite quantitativo di stipula dei contratti a tempo determinato, fornite dal
Ministero del Lavoro, sono da tenere in debito conto per evitare la sanzione prevista dall’art. 5, comma 4-
septies, D.Lgs. n. 368/2001.
Ai sensi di tale norma, in caso di
violazione del limite percentuale del 20%, o del diverso
limite
contrattuale, per ciascun lavoratore si applica la
sanzione amministrativa:
a) pari al
20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata
del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia
superiore a uno;
b) pari al
50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata
del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia
superiore a uno.
La sanzione in questione non è diffidabile - in quanto è insanabile la violazione legata al superamento di un
limite ormai realizzato - ma è soggetta alle riduzioni di cui all’art. 16, Legge n. 689/1981 (riduzione di un
terzo se il pagamento è fatto entro 60 giorni dalla notifica).
Importante è, tuttavia, la previsione in virtù della quale la sanzione
non si applica per i rapporti di lavoro
instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 – e quindi
prima del 21 marzo
2014 - che comportino il superamento del limite.
Il rientro nei limiti e la contrattazione collettiva
Ai sensi dell’art. 2-bis, comma 3 del
D.L. n. 34/2014, convertito dalla
Legge n. 78/2014, il datore di lavoro
che, alla data di entrata in vigore del Decreto stesso, aveva in corso rapporti di lavoro a termine che
comportavano il superamento del limite percentuale, é tenuto a
rientrare nel predetto limite entro il
31
dicembre 2014.
Tuttavia, è fatta salva la possibilità che la
contrattazione collettiva applicabile nell'azienda disponga un
limite percentuale o un termine più favorevole.
In caso contrario, il datore di lavoro, successivamente al 31 dicembre prossimo, non potrà più stipulare
nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientrerà nel limite.
Come il Ministero del Lavoro ha chiarito con la più volte citata circolare n. 18/2014, la contrattazione
collettiva abilitata è anche quella
territoriale e
aziendale ma a quest’ultima è data solo la possibilità di
disciplinare il
regime transitorio, per cui al termine dello stesso troveranno applicazione i limiti alla
stipulazione di contratti a termine previsti o dal Legislatore o dalla contrattazione di livello nazionale, salvo
delega di quest’ultima alla contrattazione di secondo livello.
Norme e prassi
DPR 7 ottobre 1963, n. 1525
Legge n. 689/1981, art.16
Legge n. 68/1999, art. 11
D.Lgs. n. 368/2001
D.L. n. 179/2012, art. 28
Legge n. 223/1991, art. 8, comma 2
D.L. n. 34/2014, convertito dalla Legge n. 78/2014
Ministero del Lavoro, circolare n. 18 del 30 luglio 2014