Con sentenza n. 170 del 16 luglio 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 13, comma 1, secondo periodo, del Decreto legislativo n. 109/2006, contenente la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, limitatamente alle parole da “quando ricorre” a “nonché”.
La disposizione censurata, in particolare, è quella secondo cui il trasferimento del magistrato è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’articolo 2, comma 1, lettera a) del Decreto medesimo, in presenza, ossia, di comportamenti del giudice che, in violazione dei propri doveri, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, per asserito contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione.
La norma in esame, infatti - secondo la Suprema corte - comporta l’irragionevole equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, di un ampio ventaglio di illeciti disciplinari, che anche se accomunati dall’elemento dell’ingiusto danno o dell’indebito vantaggio per una delle parti, possono comunque risultare di diversa gravità, essendovi ricompresi comportamenti sia intenzionali sia soltanto colposi, che consistono inoltre nell’inosservanza di doveri non tutti di pari importanza.
Conseguentemente, al giudice disciplinare, è impedito “di tenere conto di volta in volta di queste differenze e di verificare se l’inflizione della sanzione accessoria sia necessaria per il conseguimento dello scopo, che le è proprio, di evitare il contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia, derivante dalla permanenza del magistrato nella sede o nell’ufficio”.
Doglianza, questa, a cui ha aderito la Consulta, secondo la quale l’obbligatorio trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio del magistrato condannato, sancito dalla previsione censurata, appare basato su una presunzione assoluta, “del tutto svincolata – oltre che dal controllo di proporzionalità da parte del giudice disciplinare – anche dalla verifica della sua concreta congruità con il fine (ulteriore e diverso rispetto a quello repressivo dello specifico illecito disciplinare) di evitare che, data la condotta tenuta dal magistrato, la sua permanenza nella stessa sede o ufficio appaia in contrasto con il buon andamento della amministrazione della giustizia”.
Di conseguenza, si viene a determinare, da un lato, un vulnus al principio di uguaglianza, derivante dal diverso e più grave trattamento sanzionatorio riservato al solo illecito funzionale de quo; dall’altro, un'irragionevole deroga alla regola posta dal primo periodo del comma 1 del medesimo articolo 13.
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