La Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ha respinto il ricorso di alcuni professionisti, che si erano visti ridimensionare il proprio compenso per l’attività espletata come consulenti tecnici nel corso di un procedimento giudiziario. Il Tribunale, difatti, aveva ritenuto non dovute le maggiorazioni che erano state invece riconosciute dall'Ufficio della Procura e, quanto al raddoppio degli onorari ai sensi dell’art. 52 D.p.r. n. 115 del 2002, aveva rilevato che i compensi erano stati parametrati su valori medi; ciò non ne consentiva il raddoppio, peraltro non motivato.
Tutte argomentazioni confermate dalla Suprema Corte, secondo cui il Tribunale non è era tenuto a motivare le ragioni per le quali non aveva ravvisato – a differenza dell’Ufficio della Procura – l’eccezionale complessità delle indagini svolte dai periti (tale da dar luogo all’aumento del compenso). Più in particolare, la valutazione del lavoro svolto dal consulente in termini di eccezionalità spetta al giudice di merito, che è tenuto a dare conto delle ragioni di tale “eccezionalità”; mentre nel caso di mancato esercizio di tale potere, la natura prettamente discrezionale dello stesso, esclude la necessità di una specifica motivazione, dovendosi ritenere implicita una valutazione negativa dell’opportunità di avvalersene, con conseguente sottrazione a qualsiasi titolo al sindacato di legittimità.
Non sussiste nemmeno – riporta ancora la Cassazione, nella sentenza n. 20352 del 24 agosto 2017 – il presupposto della collegialità dell’incarico (e relativa maggiorazione del compenso), essendo la nomina dell’ulteriore consulente esclusivamente riconducibile alla quantità del lavoro affidato al primo, donde la funzione di mero ausilio del medesimo.
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