Il nuovo reato di autoriciclaggio - introdotto nel Codice penale dalla legge n. 186/2014, finalizzata a disciplinare la procedura di voluntary disclosure – mostra, ad una prima lettura, alcuni profili problematici connessi proprio con l'applicazione di questa nuova fattispecie di reato.
La volontà di punire colui che impiega/trasferisce in attività economiche il denaro derivante dal delitto non colposo, che lo stesso ha commesso o ha concorso a commettere (reato base), rischia di esporre le imprese a contestazioni molto ampie se tutti i reati base dovessero entrare a fare parte della lista dei reati presupposto prevista dal Dlgs n. 231/2001.
Questa preoccupazione è stata sollevata da Confindustria, già durante l'iter di approvazione delle disposizioni normative, ed è ora stata ripresa nella circolare n. 19867 del 12 giugno 2015, nella quale viene analizzata proprio la disposizione del Codice penale, articolo 648-ter, introdotta dalla Legge n. 186/2014, sottolineandone gli aspetti più problematici.
Confindustria, mostrando preoccupazione sul fatto che la nuova norma possa ricadere con una eccessiva severità dal punto di vista penale, sia sulle società che sulle persone fisiche, auspica che vi sia da parte della magistratura un attento riscontro sulla condotta messa in atto, per evitare una dilatazione del reato oltre la lettera della norma.
L'auspicio è infatti che “la giurisprudenza sia rigorosa nel dare rilevanza agli elementi costitutivi della fattispecie, nell'ottica di punire soltanto quelle condotte che esprimono un disvalore penale ulteriore rispetto a quello riconducibile al reato-base, sanzionato in via autonoma, evitando così un eccesso sanzionatorio”.
Grazie a tale comportamento della giurisprudenza, infatti, si potrebbe evitare il rischio da parte dell’autorità giudiziaria di effettuare imputazioni automatiche soprattutto in caso di reati tributari.
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