La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha confermato la condanna di un medico per rifiuto di atti d’ufficio, per essersi quest’ultimo rifiutato, quale sanitario al momento di turno, di recarsi presso l’abitazione di una malata di tumore allo stato terminale (come invece richiestogli telefonicamente dalla figlia) per visitarla e somministrarle appositi farmaci in endovena, essendosi invece limitato a suggerire – sempre telefonicamente – la somministrazione di un antinfiammatorio di cui, tra l’altro, la paziente già disponeva.
Respinto il ricorso del medico avverso la propria condanna, sull’assunto per cui – precisa la Corte Suprema – l’intervento domiciliare richiesto non era solo urgente ma anche del tutto improcrastinabile, perché si trattava di intervenire per alleviare forti dolori di una paziente alla quale restavano poche ore di vita, ed in una condizione in cui l’intervento doveva essere attuato valutando specificamente le peculiari condizioni in cui la stessa paziente si trovava anche a causa di precedenti trattamenti praticati per alleviare le sofferenze.
Ciò detto, concludono gli Ermellini con sentenza n. 43123 del 20 settembre 2017, in assenza di altre esigenze del servizio (nella specie, non emerse) che potessero condurre ad un conflitto di doveri anche solo potenziale, non vi era alcuna ragione per cui il medico non si recasse al domicilio della paziente per un intervento personalizzato.
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