L’insostenibilità in punto di diritto degli argomenti prospettati dal ricorrente in cassazione può costituire un indizio dal quale risalire, ex articolo 2727 del Codice civile, alla sussistenza della colpa grave, consistita nell’ignorare, senza alcun atteggiamento consapevole o critico, le interpretazioni consolidate delle norme anche processuali.
E tale condotta può giustificare la condanna d’ufficio della parte per responsabilità aggravata.
Se, difatti, è vero che proporre ricorso per cassazione rivelatosi infondato, di per sé, non costituisce indice di colpa grave ai sensi dell’articolo 385, comma 4 del Codice di procedura civile (ovvero, oggi, ex articolo 96, ultimo comma del Codice di procedura civile), diverso è il discorso nel caso in cui si rilevi non già la mera infondatezza, ma la totale insostenibilità in punto di diritto degli argomenti spesi nel ricorso, a causa della mancanza di argomentazioni tendenti a contrastare la giurisprudenza consolidata.
E’ quanto precisato dalla Corte di cassazione, Sesta sezione civile, nel testo dell’ordinanza n. 2584 depositata il 9 febbraio 2016.
In particolare, il ricorso per cassazione sottoposto all’esame dei giudici di legittimità non solo non teneva conto di un orientamento consolidato da anni, senza spendere alcun valido argomento per dimostrarne l’erroneità; lo stesso prospettava anche un motivo non più consentito dal novellato articolo 360, n. 5 del Codice di procedura civile, trascurando, altresì, l’interpretazione che della nuova norma hanno dato le Sezioni Unite, ai fini nomofilattici.
E per la Corte, proporre ricorsi dai contenuti distanti sia dal diritto vivente che dai precetti del codice di rito costituisce, di per sé, un indice della mala fede o colpa grave del ricorrente.
Ritenendo, quindi, che il ricorso di specie fosse stato proposto quanto meno con colpa grave, la Corte ha condannato d’ufficio il ricorrente al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata.
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