Conciliazione giudiziale, oppugnabili le transazioni su altre pretese

Pubblicato il 08 ottobre 2020

Con l'ordinanza n. 20913 del 30 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha affermato che la conciliazione giudiziale – istituto che permettete al datore di lavoro e lavoratore di porre fine a una lite azionata in giudizio – non impedisce l’esperibilità delle normali azioni di nullità e di annullamento dei contratti, rispetto alle quali l’intervento del giudice non è idoneo a esplicare alcuna efficacia.

In altri termini, le intese formalizzate davanti al giudice che esulano dal perimetro della lite costituiscono rinunce e transazioni che, laddove abbiano a oggetto diritti che discendono da norme inderogabili, sono soggette ad annullabilità secondo quanto indicato all’art. 2113 cod. civ.

Conciliazione giudiziale, il regime di inoppugnabilità

Alla luce di quanto affermato dai giudici di legittimità, il regime di inoppugnabilità - da cui sono assistite le transazioni concluse tra datore e lavoratore nelle sedi protette elencate nell’art. 2113, co. 4, del cod. civ. - non si estende a quelle situazioni che, pur essendo parte del rapporto di lavoro, non sono ricomprese tra le domande azionate in giudizio.

Sul punto, gli ermellini ricordano che le rinunce e le transazioni relative a diritti dei lavoratori previste da disposizioni inderogabili di legge o contratto collettivo non sono valide e la loro impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione del rapporto o dalla data successiva dell’accordo transattivo. Solo nel caso in cui le rinunce e le transazioni siano intervenute in sede protetta, tra le quali sono ricomprese la sede sindacale e quella giudiziale, le conciliazioni tra datore e lavoratore non sono impugnabili.

Conciliazione giudiziale, conclusioni

Quanto affermato dalla Suprema Corte sottrae al regime della inoppugnabilità le rinunce e le transazioni che, nel contesto di una conciliazione formalizzata in giudizio, le parti del rapporto di lavoro esprimono abitualmente con riferimento ad ogni possibile domanda e pretesa.

La giurisprudenza, infatti, non ha mai affermato che il perimetro delle transazioni giudiziali idonee ad esprimere carattere definitivo in base all’art. 2113 del cod. civ. e, quindi, a impedire l’azione di annullabilità fosse ristretto alle sole situazioni giuridiche oggetto di lite.

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