Il Tar per il Lazio, Sezione prima, ha respinto il ricorso del Consiglio nazionale dei dottori Commercialisti e degli esperti Contabili, che aveva richiesto l’annullamento, previa sospensione, del D.p.r. n. 177/2015, recante disposizioni sulle modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari.
In particolare il Cndcec contestava il suindicato Decreto “in quanto immediatamente lesivo della sua posizione”, stante la scelta di prendere a riferimento – per la determinazione dei compensi degli amministratori giudiziari – le norme relative ai compensi spettanti ai curatori fallimentari ed ai commissari giudiziali nelle procedure di concordato preventivo; così riducendoli irragionevolmente.
Orbene, secondo il Collegio amministrativo, l’assimilazione tra la figura dell’amministratore giudiziario e quella del curatore fallimentare - ai fini della liquidazione del compenso – trova giustificazione nelle affinità che connotano i due relativi procedimenti giudiziari, atteso che, nei procedimenti di prevenzione disciplinati dal Codice antimafia, l’attività dell'amministratore giudiziario sui beni sottoposti a sequestro comprende la verifica dei crediti, la custodia, la gestione dei beni, la loro liquidazione ed il riparto delle somme ricavate in favore dei creditori, in analogia con il modello delle procedure concorsuali.
Respinto, inoltre, anche l’ulteriore profilo di censura sollevato dai commercialisti, secondo i quali i nuovi criteri di liquidazione avrebbero determinato una minore valorizzazione dei compensi degli amministratori giudiziari rispetto a quelli dei curatori fallimentari. Non è così per il Tar Lazio – con sentenza n. 11516 del 21 novembre 2017 - posto che il relativo trattamento è sostanzialmente allineato per entrambi; salvo in taluni casi, ove le disposizioni per gli amministratori giudiziari sembrerebbero addirittura più favorevoli (ad esempio: ulteriore compenso del 5% sugli utili netti e dello 0,50% sui ricavi lordi; rimborso forfettario delle spese tra il 5 e il 10% ecc.).
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