Il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi anche nelle sue potenzialità di espansione, va ricondotto nell’alveo del tipo contrattuale di cui all’articolo 1809 del Codice civile.
Si tratta, ossia, di un comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale, caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.
Il contratto di comodato sulla casa destinata alla famiglia, infatti, non è di tipo cosiddetto "precario" ma sorge per un uso determinato e, dunque, per un tempo determinabile per relationem, che può ossia essere individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, e ciò indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
In detto contesto, spetta al coniuge separato, convivente con la prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente ed assegnatario dell'abitazione già attribuita in comodato, che intenda opporsi alla richiesta di rilascio del comodante provare, “anche mediante le inferenze probatorie desumibili da ogni utile fatto secondario allegato e dimostrato”, che la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento derivi da un comodato di casa familiare con scadenza non prefissata.
Per contro, è onere di chi invoca la cessazione del comodato per il raggiungimento del termine prefissato, dimostrare il relativo presupposto e, dunque, l'eventuale avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all'uso familiare.
Sono questi gli assunti ribaditi dalla Corte di cassazione, Terza sezione civile, nel testo della sentenza n. 1666 depositata il 29 gennaio 2016.
Nella vicenda esaminata, la Suprema corte ha accolto, con rinvio, il motivo di impugnazione prospettato da una donna che si era opposta alla richiesta di rilascio dell’immobile concesso in comodato dalla suocera all’ex marito, sull’assunto che l’immobile era destinato alla casa coniugale.
I giudici di legittimità hanno ritenuto opportuno un nuovo esame delle risultanze probatorie emerse nel corso delle fasi di merito, disponendo una verifica, alla luce dei citati principi, per appurare se, nella specie, la concessione del godimento dell’immobile fosse avvenuta o meno in prospettiva della sua utilizzazione quale casa familiare.
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