Ai conviventi che collaborano nell’impresa familiare, ai sensi dell’art. 230-ter cod. civ., deve essere resa possibile l’iscrizione alla Gestione separata INPS, al fine di ristabilire le condizioni minime di protezione sociale. A tale ipotesi giungono il CNDCEC e la FNC, con il documento di ricerca pubblicato il 4 giugno 2019, che analizzano la regolamentazione delle collaborazioni familiari introdotta dalla Legge Cirinnà (L. n. 76/2016), soffermandosi in particolare sulla disciplina dettata dall’art. 230-ter cod.civ. per le prestazioni di lavoro rese dai conviventi more uxorio.
Il documento, inoltre, chiarisce che al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.
La L. n. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà) ha ampliato il perimetro del diritto di famiglia, istituendo e regolamentando le unioni civili per le coppie omosessuali e attribuendo maggiore rilevanza giuridica alle convivenze. Infatti, l’art. 1, co. 20 della predetta legge ha equiparato l’unito civilmente al coniuge, con conseguente e diretta applicazione al primo delle tutele sociali del secondo.
Tuttavia, nulla è stato previsto circa la disciplina previdenziale dei conviventi more uxorio. Lo stesso INPS, con la circolare n. 66/2017, ha assunto una posizione di chiusura nei confronti dei conviventi. L’Istituto previdenziale, infatti, non ha previsto alcuna equiparazione di status, né esteso al convivente gli stessi diritti e obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore.
Allo stato attuale, evidenziano i Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, vi è una grave incertezza nella gestione dei rapporti di collaborazione familiare, poiché l’INPS nega, da un lato, l’iscrizione del convivente alle Gestioni speciali artigiani e commercianti e, dall’altro, non chiarisce come vada valutato tale soggetto rispetto al sistema di assicurazione sociale.
Sul piano operativo, la soluzione prospettata dai professionisti nel documento di ricerca è l’iscrizione del convivente che collabora nell’impresa familiare alla Gestione separata INPS (art. 2, co. 26 della L. n. 335/1995), con conseguente applicazione del medesimo regime previdenziale per i lavoratori autonomi parasubordinati.
Tale regime previdenziale – secondo i Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili – si mostra compatibile con la tipologia di prestazione d’opera resa all’interno dell’impresa dell’altro convivente, anche con riferimento alle modalità di determinazione della base imponibile per il versamento dei contributi e alla determinazione della contribuzione. I contributi dovuti alla Gestione separata INPS potrebbero essere calcolati sulla base imponibile assunta per il calcolo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, risultante dalla dichiarazione annuale dei redditi ai sensi dell’art. 2, co. 29 della L. n. 335/1995. La “quota di utile” spettante al convivente è commisurata al lavoro prestato, pertanto, fungerebbe da parametro corrispettivo della prestazione resa, da assoggettare a contribuzione secondo le modalità previste per i collaboratori che svolgono attività autonoma che prevedono la ripartizione dei contributi in due terzi a carico del committente e un terzo a carico del collaboratore.
Tuttavia, la tesi proposta necessita di riscontro da parte dell’INPS che, qualora avalli la soluzione interpretativa, dovrà fornire le istruzioni operative utili per l’iscrizione del collaboratore, per il calcolo della contribuzione e per il conseguente versamento.
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