Cessioni intraUe, la cancellazione dal Vies mantiene la non imponibilità

Pubblicato il 10 ottobre 2014 Nell’ambito di una cessione intracomunitaria, le prove esibite dal fornitore a cui è stata riconosciuta l’esenzione Iva non possono essere ritenute insufficienti in un secondo momento dall’amministrazione finanziaria, che, dunque, non può richiedere ulteriore documentazione basandosi sul fatto che l’autorità fiscale del paese di destinazione ha cancellato il numero di partita Iva del cliente con effetto retroattivo.

In altri termini la cancellazione dell’acquirente dal Vies con effetto retroattivo non fa diventare il fornitore comunitario debitore dell’Iva nel suo paese di origine.

A stabilirlo la Corte di Giustizia Ue, con la sentenza del 9 ottobre 2014, relativa al procedimento C-492/13, sulla questione di una società bulgara che si era vista negare la non imponibilità a seguito di una cessione intracomunitaria.

Agli Stati membri le prove per l’esenzione

I giudici lussemburghesi specificano che per quanto riguarda le prove che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per poter beneficiare dell’esenzione dell’imposta nelle cessioni IntraUe – in assenza di specifiche disposizioni nella direttiva Iva – sono gli stessi Stati membri a fissarle, ai fini di prevenire fenomeni di evasione ed elusione.

Tuttavia, nel farlo gli Stati membri devono rispettare i principi comunitari di “proporzionalità”, di “certezza del diritto” e di “tutela del legittimo affidamento”, che sono necessari per garantire il contribuente in buona fede, a meno che non si abbia una prova della sua partecipazione ad una frode avvenuta nel paese dell’acquirente.

È ovvio, quindi, che uno Stato che, dopo aver accettato i documenti esibiti dal fornitore per l’esenzione Iva a livello intraUe, richiede ulteriori prove al fornitore a seguito dell’accertamento di una frode commessa dall’acquirente – di cui il fornitore non poteva esserne a conoscenza – agisce proprio in contrasto con il citato principio di certezza del diritto.

Ne deriva che una eventuale irregolarità riscontrata sulla posizione dell’acquirente, che ha portato in un secondo momento alla sua cancellazione dai registri Iva, anche se con effetto retroattivo, non può comportare una responsabilità per il fornitore che non ha partecipato alla frode, ma che soprattutto ha agito diligentemente e in buona fede.
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