La cessione di un edificio, anche se da demolire, non può essere riqualificata, da parte dell'Amministrazione finanziaria, come cessione del terreno edificabile sottostante. E' quanto evidenziato dalla Corte di cassazione in una recente decisione.
La vendita di un'area già edificata può essere fatta rientrare nelle ipotesi, tassative, previste dall'articolo 67 del TUIR?
Detta ultima previsione, si rammenta, assoggetta a tassazione separata, quali redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.
La Corte di cassazione ha fornito una risposta negativa al quesito, allineandosi con il recente indirizzo di legittimità secondo cui, dalla lettura del citato articolo e dell'articolo 17 comma 1, lettera g-bis del medesimo TUIR, possono rientrare nelle ipotesi considerate solo le cessioni aventi ad oggetto un terreno “suscettibile di utilizzazione edificatoria” ma non un terreno sul quale insorge un fabbricato, e, come tale, già edificato.
La Quinta sezione civile di Cassazione, con la sentenza n. 5088 del 21 febbraio 2019, ha evidenziato la coerenza di questa ultima lettura, rispetto alla ratio e al télos ispiratori della norma, tesa ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che scaturisce non “in virtù di un'attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l'avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni”.
Non è possibile, in definitiva, porre a carico del venditore di un edificio sorto su terreno già edificabile una affermata plusvalenza anche solo commisurata all'ulteriore capacitò edificatoria non ancora sviluppata. Si tratterebbe, infatti, di porre su un soggetto diverso, quale è il venditore, una tassazione che il legislatore ha fissato già in capo al compratore.
Il caso esaminato dai giudici di legittimità aveva ad oggetto un atto a titolo oneroso con cui una contribuente aveva ceduto ad una società immobiliare un vecchio edificio adibito a propria abitazione, ricevendone in cambio, a titolo di permuta, due unità immobiliari da costruirsi in luogo dell'edificio medesimo.
Nel contratto, le parti avevano pattuito un'operazione che prevedeva l'abbattimento del corpo di fabbrica dell'edificio preesistente a fronte della ricostruzione di un complesso con nove appartamenti.
L'Ufficio finanziario aveva riqualificato questo atto come cessione di terreno edificabile, notificando avviso di accertamento in ordine ad un'asserita plusvalenza da cessione di terreni.
Da qui il ricorso, in opposizione, della venditrice, basato sull'affermazione secondo cui si trattava di cessione di fabbricato e non di terreni.
Doglianze che erano state condivise dai giudici di merito con decisione che era stata, tuttavia, impugnata dall'Amministrazione finanziaria, in sede di legittimità.
La Suprema corte, rigettando il ricorso, ha enunciato alcuni principi di diritto sulla specifica tematica:
“la distinzione fra edificio edificato e non ancora edificato si pone in termini di alternativa esclusiva che, in via logica, non ammette un tertium genus;
la cessione di un edificio non può essere riqualificata come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l'edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste;
nella cessione di edificio, la pattuizione delle parti di demolire e ricostruire, anche con ampliamento di volumetria, non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile”.
Per finire, la Suprema corte ha, anche, precisato che il potere dell'Amministrazione finanziaria di riqualificare un negozio giuridico in ragione dell'operazione economica sottostante, trova un limite nell'indicazione tassativa fornita del legislatore che ha previsto, per la cessione di edifici, un regime fiscale/temporale, e per la cessione di terreni edificabili, un diverso regime fiscale.
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