Il regime forfettario, previsto dall’art. 1, commi da 54 a 89 della Legge 190 del 23 dicembre 2014, ha subito un consistente “restyling” con la Legge di Bilancio 2019 (Legge n. 145 del 30 dicembre 2018). Tra le modifiche apportate, che più hanno avuto risalto, vi è l’innalzamento a 65.000 euro del limite di ricavi annui (che dal 2019 vale per tutte le attività) relativamente all’accesso al regime e al superamento del quale il contribuente decade dalla possibilità di utilizzarlo. Sono stati anche eliminati alcuni limiti in precedenza stabiliti che facevano riferimento al costo sostenuto per l’acquisto di beni strumentali (20.000 euro) ed al costo per personale dipendente (5.000 euro), tali requisiti facevano riferimento alle lettere b) e c) del comma 54, della Legge 190/2014, (testo previgente). Il legislatore è anche intervenuto su altri aspetti (in particolare sulle cause ostative), con l’intento di evitare che l’ampliamento dei soggetti che potenzialmente potessero ricorrere al regime forfettario portasse con sé degli abusi.
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato una attesa Circolare (n. 9 del 24 aprile 2019), avente ad oggetto l'analisi delle novità introdotte alla disciplina del regime forfettario dalla Legge di Bilancio 2019 e ha rivolto particolare attenzione alle cause ostative.
A parte l’innalzamento del limite di ricavi/compensi annuali divenuto uguale per tutti i settori di attività, rimangono invariati gli altri requisiti come: le percentuali di redditività ai fini della determinazione del reddito imponibile, le semplificazioni contabili e gli obblighi ed adempimenti dichiarativi, la percentuale dell’imposta sostitutiva. Con riferimento alle cause ostative, diverse sono state le istanze di interpello pervenute all’Agenzia sulla operatività o meno del “nuovo” regime forfettario a partire del 2019. Le risposte fornite dall’Agenzia si sono basate fondamentalmente su quanto chiarito nella citata circolare n. 9 del 24 aprile 2019.
Il comma 57 della Legge 190/2014, individua i soggetti che non possono usufruire del regime forfettario e i primi commi, (lettere a), b) e c)) non sono state modificate, stabilendo che non possono avvalersi del regime forfettario:
NB! – La stessa Agenzia per tali casi, rimanda a quanto già previsto dalla circolare n. 10 del 4 aprile 2016, non avendo appunto il legislatore apportato modifiche rispetto a quanto in vigore sino al termine del 2018. |
L’esercizio di una attività esclusa dal regime forfettario, in quanto soggetta a un regime speciale Iva o espressiva, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, di un reddito d’impresa o di lavoro autonomo determinato con modalità forfettarie, preclude l’applicazione della disciplina in esame per tutte le altre attività, anche se non soggette ad un regime speciale.
Tuttavia, ad esempio, i produttori agricoli, che rispettano i limiti previsti all’articolo 32 del TUIR, sono titolari di reddito fondiario e, pertanto, non esercitando l’attività d’impresa, possono applicare il regime forfettario per le altre attività che intendono svolgere.
Nel caso in cui il contribuente, avendone facoltà, opti per applicare l’Iva nei modi ordinari, è ammessa l’applicazione del regime forfettario, a condizione che l’opzione sia stata esercitata nell’anno d’imposta precedente a quello di applicazione del regime forfettario.
L’Agenzia conferma, l’incompatibilità del regime forfettario con il regime opzionale di tassazione agevolata (c.d. Patent Box), istituito dall’articolo 1, commi da 37 a 45, della Legge n. 190 del 2014.
Con riferimento alle lettere d) e d-bis, bisogna fare un discorso a parte in quanto entrambi i commi sono stati profondamente rinnovati rispetto al passato (D.L. n. 135 del 14 dicembre 2018, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 12 dell’11 febbraio 2019).
Entrambi i punti si riferiscono alla compatibilità del regime forfettario con la partecipazione a società di persone e/o capitali, e con il percepimento di un reddito di lavoro dipendente e/o assimilato.
Per quanto riguarda la partecipazione del contribuente a società di persone e capitali, non cambia nulla in materia di società di persone (a parte l’ampliamento alla partecipazione ad imprese familiari), ma vi sono delle modifiche con riferimento alla partecipazione a società a responsabilità limitata.
Fino al 31 dicembre 2018, l’applicazione del regime forfettario era incompatibile con la partecipazione ad una Srl, solo se quest’ultima attribuiva il reddito ai soci per trasparenza ai sensi dell’art. 116, D.P.R. 917/86.
Si voleva evitare che lo stesso contribuente potesse produrre redditi appartenenti alla stessa categoria, ma assoggettati in parte al regime normale di tassazione, ed in parte ad imposta sostitutiva (principio espresso con la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 146 del 2009).
Il nuovo testo estende, da un lato, la fattispecie in cui opera la causa ostativa, alla partecipazione a tutte le società a responsabilità limitata, indipendentemente dal regime di tassazione applicato, e, dall’altro, delimita il perimetro dell’esclusione alle partecipazioni di controllo (diretto o indiretto), e sempre che la società controllata svolga attività direttamente o indirettamente riconducibili a quella svolta dal contribuente.
Con riferimento specifico al 2019, e per le fattispecie previste dalla citata lettera d) del comma 57 siano esse relative alle società di persone, associazioni, imprese familiari o anche società a responsabilità limitata, l’Agenzia effettua un importante chiarimento.
Tenuto in considerazione che la Legge di bilancio 2019 è stata pubblicata solo in data 31 dicembre 2018 e preso atto di quanto disposto dall’art. 3, comma 2, della Legge 212/2000, il contribuente che si trovasse nella situazione sopra descritta, potrà usufruire del regime in commento già dal 2019 se provvederà ad eliminare la causa ostativa entro la fine dell’anno 2019.
Qualora ciò non avvenga, allora dovrà passare alle regole “ordinarie” con decorrenza dall’anno 2020.
Non possono avvalersi del regime forfettario, gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari (di cui all’articolo 5 del TUIR).
La vigente formulazione della lettera d) in commento si discosta da quella previgente:
Continuano a essere espressamente escluse dalla formulazione letterale, le partecipazioni nelle società per azioni, in accomandita per azioni e residenti all’estero.
Nel caso delle società a responsabilità limitata, l’operatività della causa ostativa, è stata notevolmente modificata. Affinché operi tale causa è necessaria la compresenza:
In assenza di una delle predette condizioni, la causa ostativa non opera e il contribuente può applicare o permanere nel regime forfettario.
L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 9/2019, affronta nel dettaglio le singole condizioni previste dalla norma, cercando di chiarire cosa debba intendersi per controllo della società e per attività attinente.
Con riferimento al controllo si rifà alla definizione fornita dall’art. 2359 del Codice Civile, in particolare al primo comma per il controllo diretto e al secondo per il controllo indiretto.
Ai sensi del primo comma sono considerate società controllate:
Il secondo comma precisa, ai fini di individuare i casi di controllo indiretto, che “ai fini dell’applicazione dei punti 1 e 2 del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta”.
Un discorso più ampio è, invece, dedicato all’esercizio da parte della società di una attività riconducibile a quella svolta dal contribuente.
La norma non fornisce un criterio oggettivo per definire quando le attività svolte dalla società e dal contribuente sono “riconducibili” una all’altra.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate nel dare una definizione alle attività “riconducibili”, chiarisce che prioritariamente occorrerà considerare le attività effettivamente svolte dalla società e dal contribuente e non quelle dichiarate dai medesimi.
Prima di tutto, viene individuato un perimetro e, precisamente, le attività la cui descrizione rientra nella stessa sezione della classificazione ATECO, distinguendo appunto tra attività appartenenti alla stessa sezione, ed attività diverse.
Quando il contribuente e la società svolgono attività rientranti nella stessa sezione ATECO, ci sarà sempre riconducibilità diretta o indiretta, se il contribuente pone in essere cessioni di beni e/o prestazioni di servizi a favore della società e quest’ultima ne deduce dalla propria base imponibile i costi relativi.
Non ci sarà riconducibilità quando, pur se le attività appartengono alla medesima sezione, non vengono effettuate cessioni e/o prestazioni da parte del contribuente a favore della società o, in caso di effettuazione di tali cessioni/prestazioni, i costi relativi a queste ultime non vengono dedotti dalla base imponibile da parte della società.
In conclusione, pertanto, sussiste la riconducibilità quando, congiuntamente:
Se si dovesse verificare il caso prospettato, il contribuente non potrà usufruire del regime forfettario nell’anno successivo.
Quando, invece, le attività svolte da società e contribuente non appartengono alla stessa sezione ATECO, non saranno da considerarsi “riconducibili” anche se vengono effettuate operazioni a favore della società e quest’ultima ne deduce i costi relativi.
Dal nuovo testo della norma, si evince la volontà del legislatore di contrastare la trasformazione artificiosa ed incontrollata di attività di lavoro dipendente in attività di lavoro autonomo.
Quest’ultima norma interessa “solo” le collaborazioni “organizzate” dal committente, tralasciando quelle in cui sussiste una reale ed effettiva autonomia del collaboratore (anche con partita Iva).
Con la nuova lettera d-bis) del comma 57, il legislatore ha voluto impedire che personale già alle dipendenze delle imprese venisse “trasformato” in lavoratore autonomo continuando ad effettuare prestazioni di servizi o attività di lavoro autonomo a favore del precedente datore di lavoro, e ciò indipendentemente dalla sussistenza, una volta iniziata l’attività di lavoro autonomo, di un effettivo o presunto vincolo di subordinazione.
NB! - Nella versione in vigore al 31 dicembre 2018, l’adozione del regime forfettario era incompatibile con la contemporanea percezione di redditi di lavoro dipendente o assimilati per importi superiori ad 30.000 euro, pertanto risultava irrilevante il fatto che il rapporto di lavoro fosse o meno cessato. |
La nuova norma fa scattare la causa ostativa quando il contribuente esercita la propria attività prevalentemente nei confronti del precedente datore di lavoro (soggetto con il quale è o è stato in essere un rapporto di lavoro nei due precedenti periodi di imposta).
NB! - La norma espressamente prevede che la causa ostativa (nuova lettera d-bis) del comma 57) non opera nel caso di soggetti che iniziano una nuova attività di lavoro autonomo, dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatorio ai fini dell’abilitazione all’esercizio di arti o professioni. |
La prevalenza va individuata in base ai ricavi o compensi percepiti per le prestazioni rese a favore del proprio datore di lavoro (o soggetti a questi ultimi direttamente o indirettamente riconducibili) o dei soggetti con i quali sono stati intrattenuti rapporti di lavoro nei due precedenti periodi di imposta, in proporzione al totale dei ricavi/compensi percepiti.
La “prevalenza” va verificata al termine del periodo di imposta, facendo scattare l’operatività della causa ostativa (e quindi l’impossibilità di adozione del regime) a decorrere dall’esercizio successivo.
Pertanto, affinché venga integrata la causa ostativa, i ricavi/compensi percepiti nel corso dell’anno e provenienti dai “datori di lavoro”, o soggetti ad essi riconducibili, dovranno essere superiori al 50% del totale dei ricavi/compensi dell’anno.
Non dovranno tenersi in considerazione i soggetti con i quali è stato in essere un rapporto di lavoro, ma questo è cessato anteriormente al 1° gennaio 2017 (in tal caso, infatti, sarebbero sicuramente già trascorsi i due periodi di imposta precedenti).
Ai fini di poter comprendere la reale portata dell’innovazione normativa occorre dare una definizione di “datore di lavoro”.
La relazione illustrativa alla Legge di Bilancio 2019, come evidenziato dalla Circolare 9, ricomprende nell’ambito di applicazione della lettera d-bis) tutti i soggetti che percepiscono o hanno percepito redditi di lavoro dipendente ed assimilati, individuati rispettivamente dagli articoli 49 e 50, D.P.R. 917/86.
La stessa circolare in considerazione della finalità che si è posto il legislatore, effettua alcuni distinguo.
Con riferimento ai redditi di lavoro dipendente propriamente detti, non viene precisato niente, per i redditi di pensione, invece, viene chiarito che la causa ostativa non opera:
La causa ostativa non opererebbe nel caso di prepensionamento obbligatorio a seguito di crisi aziendali.
Per i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente occorre effettuare, dice l’Agenzia delle Entrate, una valutazione dei singoli casi in funzione della finalità della norma.
La stessa ritiene non operante la causa ostativa nel caso di percettori di redditi riconducibili alle lettere c), d), f), g), h), h-bis), i) ed l), dell’articolo 50, D.P.R. 917/86, mentre la ritiene operante, invece, per i percettori dei redditi di cui alle lettere a), b) ed e), del medesimo articolo 50.
Questi ultimi in particolare sono:
Per ragioni legate alle particolarità degli incarichi, non è operante la causa ostativa per i sindaci ed i revisori delle società mentre è operante per gli amministratori ed i collaboratori.
La Circolare 9/E precisa che non integrerà causa ostativa la preesistente sussistenza di rapporto di lavoro dipendente e rapporto di lavoro autonomo nei confronti dello stesso “datore di lavoro” a condizione però che i due rapporti di lavoro persistano senza modifiche sostanziali.
In tal caso, non c’è alcun intento di trasformazione artificiosa dei rapporti di lavoro in quanto già preesistenti rispetto all’intervenuta modifica legislativa.
Tuttavia, precisa l’Agenzia, eventuali comportamenti posti in essere nel periodo d’imposta 2018 nelle more dell’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2019 volti a modificare le condizioni del duplice rapporto di lavoro (autonomo e dipendente o assimilato), al fine di traslare una quota di redditi percepiti dalla tipologia di redditi di lavoro dipendente o assimilati a quella di redditi di lavoro autonomo per poter usufruire nel 2019 del regime forfettario sulla maggiore quota di redditi di lavoro autonomo, saranno oggetto di sindacato ai fini dell’abuso del diritto ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000.
La Circolare 9 del 2019 effettua alcune considerazioni relativamente al transito da un regime fiscale all’altro (es. semplificato e forfettario), sia esso per opzione del contribuente, o dovuto a seguito delle intervenute variazioni normative.
Entrambi i regimi contabili sono regimi “naturali”, ciò significa che non è necessario effettuare nessuna opzione o nessuna comunicazione preventiva o successiva.
È anche vero, però, che chi presenta le caratteristiche per il regime forfettario (regime naturale) può decidere per l’applicazione del regime semplificato per cassa ex art. 18, D.P.R. 600/73, in tal caso però occorre esprimere una specifica opzione come previsto al comma 70, articolo 1, Legge 190/2014.
Anche se di regola l’opzione del contribuente è vincolante per almeno un triennio, allo scadere del quale si rinnova di anno in anno, la circolare ricorda, secondo quanto chiarito dalla Risoluzione n. 64 del 2018, che il passaggio dal regime semplificato ex art. 18, D.P.R. 600/73 al regime forfettario, e viceversa, può avvenire senza attendere il decorso del triennio.
Utile a tale fine è la precisazione dell’Agenzia in merito al trattamento dei componenti positivi e negativi che non hanno ancora concorso alla formazione del reddito in quanto non ancora registrati. Nello specifico è stato chiarito che chi si è avvalso nel 2018 del regime “semplificato” optando altresì per la semplificazione prevista dal comma 5 dell’art. 18 citato, e intende usufruire per il 2019 del regime forfettario, dovrà registrare entro il 31 dicembre 2018 tutti i componenti positivi e negativi di reddito che a tale data non sono ancora stati registrati per farli concorrere alla formazione del reddito nel 2018.
Per quanto concerne il passaggio dal regime ordinario per opzione al regime forfettario, è stato chiarito che è possibile per il 2019 l’applicazione del regime forfettario, anche se nel corso del 2018 è stato applicato il regime ordinario a seguito di opzione, e non risulta ancora decorso il triennio dall’esercizio dell’opzione. Ciò risulta possibile in quanto l’articolo 1, del D.P.R. 442/97 consente in ogni caso la variazione o la revoca dell’opzione in presenza di nuove disposizioni normative.
Una prima disapplicazione avviene qualora venga superato il limite annuale di ricavi o compensi pari ad 65.000 euro o al verificarsi di una delle cause ostative.
La disapplicazione opera però dal periodo di imposta successivo a quello in cui si verificano le suddette condizioni. A differenza di quanto previsto per il regime di vantaggio, non è contemplata la disapplicazione in corso d’anno.
In caso di accertamento viene chiarito che la decadenza dal regime forfettario avviene (anche in questo caso) con decorrenza dal periodo di imposta successivo a quello per il quale è stata accertata la sussistenza della causa ostativa o il superamento del limite di ricavi annuali.
Si dovrà, comunque, tenere conto del fatto che gli accertamenti vengono effettuati sempre con riferimento a periodi di imposta precedenti e, pertanto, inevitabilmente determinano effetti su più periodi di imposta successivi.
Per un accertamento relativo al periodo di imposta 2019, divenuto definitivo nel 2024, la decadenza avviene a partire dall’anno 2020 ed eventualmente anche per i successivi, sempre che non siano nuovamente venute meno le cause di decadenza contestate in sede di accertamento.
Quadro Normativo |
Legge n. 190 del 23 dicembre 2014 D.L. n. 135 del 14 dicembre 2018 |
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