In caso di sovraffollamento carcerario ed accertato malfunzionamento del sistema penitenziario, lo Stato membro può negare la consegna del condannato nell'ambito del mandato d’arresto europeo.
E’ quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, rifiutando la consegna di un cittadino rumeno condannato per traffico di stupefacenti, per le ritenute condizioni degradanti dei carceri in Romania.
In tal modo gli ermellini si sono dunque allineati all'orientamento della Corte di giustizia europea, secondo cui il meccanismo di consegna delineato dalla decisione quadro europea del 2002 – fondata sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri e sul rispetto dei diritti fondamentali - non può comunque prescindere dalla costatazione dell’effettivo e concreto grave malfunzionamento del sistema penitenziario nello Stato emittente.
Per cui lo Stato di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente (in base ad elementi oggettivi) in relazione alla persona richiesta in consegna, l’esistenza di un rischio collegato ad divieto di pene o di trattamento disumani e degradanti, contenuto nell'art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Va al contempo salvaguardata la possibilità di realizzare la consegna stessa, consentendo allo Stato membro di emissione, entro un termine ragionevole, di rimuovere le condizioni ostative connesse a tale rischio.
Relativamente al caso di specie – conclude la Corte con sentenza n. 23277 del 3 giugno 2016 – i giudici territoriali hanno dunque errato laddove, pur dando atto delle condizioni di sovraffollamento, scarsa igiene, luce ed aria in cui versavano i carceri rumeni, ha poi laconicamente affermato come detta circostanza non dimostrasse il rischio attuale e concreto che il consegnando fosse esposto al rischio di pratiche inumane o torture
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