La tassazione della caparra penitenziale al 3% si applica solo se e quando il diritto di recesso viene esercitato, e non automaticamente al momento del contratto preliminare.
E' quanto stabilito dalla Corte di cassazione con sentenza n. 12398 del 7 maggio 2024 pronunciata su una vicenda riguardante, specificamente, la caparra penitenziale e la corretta applicazione dell'imposta di registro.
La caparra penitenziale è una somma di denaro o quantità di altri beni fungibili che viene data come garanzia all'atto della stipulazione di un contratto.
Tale tipo di caparra ha la funzione di corrispettivo del recesso ed il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella ricevuta, se esercita il relativo diritto di recesso.
Si tratta di una pattuizione, collegata ad un altro contratto, che attribuisce un diritto potestativo di recesso a fronte di un corrispettivo e che, quindi, ha un contenuto patrimoniale.
Il caso riguardava alcuni avvisi di liquidazione, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato l'imposta di registro dovuta in ordine a un contratto preliminare stipulato tra le parti.
Alla somma pattuita a titolo di caparra penitenziale, l'Amministrazione finanziaria aveva applicato l'aliquota del 3% in luogo di quella di 0.5%.
Le Commissioni tributarie, di primo e secondo grado, avevano accolto l'impugnazione dei contribuenti e annullato gli avvisi delle Entrate.
L'Agenzia si era quindi rivolta alla Cassazione, sostenendo che la caparra penitenziale dovesse essere tassata al 3%, poiché non era espressamente prevista dalla normativa come soggetta all'aliquota ridotta dello 0,5%.
La Corte di cassazione ha rigettato le ragioni della ricorrente Agenzia, precisando che, dal punto di vista civilistico, la caparra penitenziale non configura un negozio sospensivamente condizionato, ma attribuisce il diritto di recesso dal contratto, con un corrispettivo specifico legato all'esercizio di tale diritto.
L'aliquota del 3% - ha puntualizzato la Corte - si applica solamente al momento dell'effettivo esercizio del diritto di recesso che porta allo scioglimento del vincolo contrattuale.
Tale aliquota non va applicata al momento della registrazione del contratto preliminare che contiene la clausola di caparra penitenziale.
Ai fini dell'imposta di registro, in definitiva, la caparra penitenziale ricade nell'ambito applicativo dell'articolo 28 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro).
La caparra penitenziale è infatti un negozio accessorio, da cui deriva l'attribuzione del diritto di recesso a fronte della previsione di un corrispettivo per il suo esercizio.
Nelle predette ipotesi, l'esercizio del diritto di recesso ha gli stessi effetti della risoluzione.
Ne discende che all'ammontare previsto quale corrispettivo del recesso si applica l’aliquota del 3% di cui all'art. 9, parte prima, della tariffa del Testo unico, ma ciò solo al momento del suo eventuale esercizio e dello scioglimento del vincolo contrattuale, riconducibile alla clausola contrattuale.
E' comunque fatta salva:
da un lato, l'applicazione dell'aliquota dello 0,5% di cui all'art. 6 della parte prima della tariffa del DPR n. 131/1986 in presenza di quietanze;
dall'altro lato, l'imputazione dell'imposta pagata a quella principale dovuta per la stipulazione del contratto definitivo, laddove il diritto di recesso, conferito in un contratto preliminare, non sia esercitato e la somma corrisposta a titolo di caparra penitenziale si traduca in un acconto o saldo del prezzo.
Sintesi del caso | Il caso riguardava la corretta imposizione fiscale sulla caparra penitenziale in un contratto preliminare. |
Questione dibattuta | Se l'aliquota dell'imposta di registro del 3% debba applicarsi automaticamente o solo in caso di recesso. |
Soluzione della Corte | La Corte di Cassazione ha stabilito che l'aliquota del 3% si applica solo se e quando il diritto di recesso è esercitato, non al momento del contratto preliminare. |
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