Al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema di home banking, appare del tutto ragionevole ricondurre nell'area di rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento - prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente – la possibilità di utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare, o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, accogliendo la domanda di un correntista, volta ad ottenere la condanna di una banca a risarcire il danno derivatogli da due operazioni (bonifico e giroconto) eseguite in assenza di sue disposizioni e di cessione a terzi dei propri codici personali per l’accesso ai servizi bancari on line.
Orbene – premettono in proposito i giudici supremi – è indiscusso che nel nostro ordinamento, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto per inadempimento e/o per il risarcimento del danno, debba provare la fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, spettando invece al debitore convenuto la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.
Tale principio generale – prosegue la Corte – trova la sua specificazione anche con riguardo all'utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, in quanto si ritiene che non possa essere in tal caso omessa la verifica dell’adozione, da parte dell’istituto bancario, delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio. La diligenza posta a carico del professionista, difatti, assume qui natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici del settore professionale in questione, prendendo qui come parametro la figura dell’” accorto banchiere”.
La Corte d’Appello, che aveva dapprima respinto la domanda del correntista, ha dunque errato laddove ha attribuito centrale rilievo al presunto incauto comportamento del correntista, che avrebbe a suo dire consentito la sottrazione dei codici. Sottrazione fraudolenta che invece rientra – conclude la prima sezione con sentenza n. 2950 del 3 febbraio 2017 – nell'area del rischio di impresa della banca, destinato ad essere fronteggiato mediante l’adozione di misure che consentano di verificare, prima di dare corso alle operazioni, se le stesse siano effettivamente attribuibili al cliente.
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