Non commette reato di esercizio abusivo della professione, l’avvocato che, dopo essere stato sospeso con provvedimento del Consiglio dell’Ordine, redige un esposto – denuncia in favore di un cliente, anche se su carta intestata dello studio legale.
E’ quanto afferma la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, accogliendo le censure di un legale condannato per aver esercitato abusivamente la professione, in quanto, pur essendo stato sospeso in via disciplinare, aveva compilato e portato ai carabinieri, nell'interesse di un cliente, un atto stragiudiziale di denuncia di alcuni fatti illeciti. Secondo la Corte d’Appello – la cui pronuncia il legale impugnava – era irrilevante che l’atto compiuto dall'imputato integrasse una consulenza legale stragiudiziale, essendo piuttosto dirimente la spendita della qualifica di avvocato e di legale dell’esponente. Il riferimento e l’esistenza della “procura in atti” e la corresponsione del compenso professionale, a detta dei Giudici territoriali, non facevano che avvalorare l’ipotesi accusatoria.
Di diverso avviso la Corte Suprema, secondo cui non commette reato di abusivo esercizio della professione di avvocato, il soggetto che rediga, su carta intestata, una relazione di consulenza in ordine ad un procedimento penale, in quanto la consulenza non rientra tra gli atti tipici per i quali è richiesta speciale abilitazione, ma è un’attività relativamente libera, connessa solo strumentalmente alla professione forense.
Questo tuttavia, sempre che la consulenza non venga compiuta con modalità tali (per continuità, onerosità ed organizzazione) da creare oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. Ebbene nel caso di specie – conclude la Corte con sentenza n. 32952 del 6 luglio 2017 – all'imputato era stata attribuita una prestazione isolata, che non poteva certo essere sintomatica di un’attività di consulenza svolta in maniera continuativa, sistematica e professionale. Da qui, la non configurabilità del reato contestato.
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