L’autorizzazione alla notifica degli atti processuali con il mezzo telematico, purché soddisfi determinati requisiti tecnici, implica necessariamente l’onere per il legale suo destinatario, di dotarsi degli strumenti minimali per leggere una notifica che quei requisiti rispetti. Si perverrebbe altrimenti all'assurda conclusione per cui il notificante sarebbe tenuto ad eseguire un’attività completamente inutile o la cui funzionalità ed utilità sarebbero rimesse alla mera condiscendenza, buona volontà e discrezionalità del destinatario.
Né può dirsi che, nell’attuale contesto di diffusione degli strumenti informatici e delle telecomunicazioni, ciò che consenta di leggere correttamente il formato di un atto notificato nel rispetto di siffatte regole – corrispondente a standard minimi, adeguatamente diffusi e pubblicizzati – comporti per il professionista legale, quale ordinario destinatario di dette regole, un onere eccezionale ed eccessivamente gravoso. La dotazione di quegli strumenti integra piuttosto, per l’avvocato, un necessario completamento dello strumentario corrente della sua attività quotidiana e quindi, un adminiculum ormai insostituibile per l’esercizio della sua professione, attesa l’immanente e permanente quotidiana possibilità dell’impiego, da parte sua o nei suoi confronti, degli strumenti tecnici consistenti nella notifica col mezzo telematico di atti soprattutto processuali. Salva, beninteso, l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli ed imprevedibili e, comunque, non imputabili al professionista, nemmeno con la diligenza da esso esigibile.
Sulla scorta di questi ragionamenti, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 22320 del 25 settembre 2017, ha respinto il ricorso di un avvocato, che contestava l’attribuzione di responsabilità a suo carico per non essere stato in grado, in quanto non dotato dei necessari strumenti, di leggere le notifiche di alcuni precetti ad esso dirette, e in particolare gli allegati con estensione “p7m”. La lettura dei suddetti files – a detta del legale, ma a torto secondo la Cassazione – avrebbe difatti comportato oneri particolari e non esigibili per esso professionista.
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