La maggioranza delle quote delle Stp può essere di proprietà di non professionisti, che potranno detenere, quindi, anche più dei due terzi del capitale della società.
Questa la conclusione cui giunge l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione AS1589, che è stata pubblicata sul Bollettino n. 24 del 17 giugno 2019.
L’Authority prende posizione contro l’interpretazione letterale dell’art. 10, comma 4, lett. b), della Legge 12 novembre 2011, n. 183 resa da alcuni Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali, ritenendola “una ingiustificata limitazione della concorrenza, in quanto si traduce in un ingiustificato ostacolo alla possibilità per i professionisti di organizzarsi in forma di STP”.
L’Autorità, infatti, è venuta a conoscenza dell’esistenza di interpretazioni divergenti della suddetta disposizione normativa. In particolare, alcuni Consigli e/o Federazioni di Ordini professionali hanno adottato un’interpretazione dell’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011, in base alla quale i due requisiti di partecipazione ivi indicati - maggioranza dei due terzi in termini di numero di soci professionisti e di partecipazione al capitale sociale - devono ricorrere cumulativamente, a prescindere da chi esercita l’effettivo controllo sulla società.
Al riguardo, però, l’Autorità è dell’avviso che, al fine di consentire ai professionisti di cogliere appieno le opportunità offerte dalla normativa in materia di Società tra professionisti e le relative spinte pro-concorrenziali, vada privilegiata l’interpretazione della norma, secondo la quale i due requisiti della maggioranza dei due terzi “per teste” e “per quote di capitale” di cui all’art. 10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011 non siano da considerare cumulativi.
In questo senso, la maggioranza di professionisti rimane obbligatoria sulle deliberazioni da assumere, ma non sulle quote societarie.
Inoltre, tale obbligo non comporta necessariamente che il numero di soci professionisti sia maggiore per testa rispetto ai soci non professionisti, in quanto “possono essere adottati dei patti parasociali o delle clausole statuarie che garantiscano ai professionisti di esercitare il controllo della società, anche nella situazione in cui essi siano in numero inferiore ai due terzi”.
L’Autorità garante del mercato motiva, così, la sua decisione, ritenendo che l'interpretazione data da alcuni Consigli e Federazioni può determinare limitazioni alla concorrenza, “in quanto ostacola la possibilità per i professionisti di scegliere l’organizzazione e la compagine societaria ritenuta più consona alle proprie esigenze (…) in contrasto con lo spirito della norma volta al completo superamento del divieto per i professionisti di costituirsi in società”.
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