L’assegno di natalità e l’assegno di maternità spettano anche ai cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso unico di soggiorno. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea con la sentenza del 2 settembre 2021, causa C‑350/20, dando ragione ad alcuni cittadini extracomunitari in possesso di permesso unico che si erano visti rifiutare dall’INPS le summenzionate prestazioni previdenziali perché erogabili, in base alla normativa nazionale, solo ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo.
L’assegno di natalità è stato istituito dall’articolo 1, comma 125, della legge di Stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190). Originariamente l’assegno, di importo pari a 960 euro annui, è stato riconosciuto dall’INPS per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 a decorrere dal mese di nascita o di adozione fino al compimento del terzo anno di età del figlio ovvero del terzo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione, a condizione che il nucleo familiare del genitore richiedente sia in una condizione economica corrispondente a un determinato valore minimo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
Successivamente il beneficio è stato esteso per ogni figlio nato o adottato:
L’assegno è erogato mensilmente e concesso ai cittadini italiani, ai cittadini di altri Stati membri nonché ai cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata che risiedono in Italia.
Il T.U. maternità (articolo 74 del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151) riconosce l’assegno di maternità per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento, alle donne residenti in Italia, cittadine di tale Stato membro o di un altro Stato membro dell’Unione o titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.
L’assegno è erogato solo alle donne non coperte dall’indennità di maternità connessa a rapporti di lavoro subordinato o autonomo o allo svolgimento di una libera professione , a condizione che il nucleo familiare non disponga di risorse superiori a un determinato importo calcolato sulla base dell’indicatore della situazione economica (ISE).
La vicenda processuale prende le mosse da alcuni cittadini extraUE titolari solo di permesso unico di lavoro a cui l’INPS aveva rifiutato di concedere l’assegno di natalità e l’assegno di maternità.
In applicazione al principio della parità di trattamento di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 i giudici di merito hanno accolto le richieste.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulle impugnazioni proposte avverso le decisioni di varie Corti d’appello, ha sollevato le questioni di costituzionalità per asserita violazione della Costituzione italiana, in combinato disposto con gli articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La Corte costituzionale ha sospeso il procedimento e ha sottoposto la questione alla Corte UE.
Al giudice comunitario si chiede se l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea si applichi all’assegno di natalità e all’assegno di maternità, in base all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del regolamento [n. 883/2004], richiamato dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva [2011/98], e se il diritto dell’Unione vieti una normativa nazionale che concede solo agli stranieri UE titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo l’assegno di natalità e l’assegno di maternità non estendendoli agli stranieri titolari del permesso unico.
Il giudizio verte sull’interpretazione dell’articolo 34 della Carta nonché dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98.
L’articolo 34, paragrafo 1, della Carta riconosce il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali.
L’articolo 34, paragrafo 2, della Carta, dispone che ogni persona che risiede o si sposta legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.
L’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 prevede che i lavoratori dei paesi terzi beneficino dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale, definiti nel regolamento n. 883/2004.
La Corte di Giustizia UE rileva che per poter beneficiare della parità di trattamento di cui all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 è necessario che l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrino nei settori della sicurezza sociale come definiti nel regolamento n. 883/2004.
Una prestazione, rileva il giudice comunitario, può definirsi “previdenziale” se viene attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali e in base ad una situazione definita ex lege nonchè se si riferisce ad uno dei rischi espressamente elencati all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004.
Pertanto devono essere considerate previdenziali le prestazioni attribuite automaticamente alle famiglie e in base a determinati criteri obiettivi riguardanti in particolare le loro dimensioni, il loro reddito e le loro risorse di capitale, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali, e destinate a compensare gli oneri familiari.
Inoltre l’espressione «prestazione familiare» comprende tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione.
Con queste premesse, la Corte UE riconosce la natura di prestazione familiare per l’assegno di natalità e per l’assegno di maternità e rileva che le stesse rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di Paesi terzi beneficiano del diritto alla parità di trattamento.
Alla luce delle suesposte considerazioni la Corte UE conclude che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011 vieta una normativa nazionale come quella italiana che esclude i cittadini di Paesi terzi con regolare permesso di soggiorno dal beneficio dell'assegno di natalità e dell'assegno di maternità.
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