Appalto. Rimedi per opera difettosa mai oltre il valore
Pubblicato il 23 marzo 2015
Con
sentenza n. 4161 depositata il 2 marzo 2015, la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ha accolto il ricorso presentato da una s.r.l. appaltatrice, condannata, in appello, alla eliminazione a sue spese, dei vizi di cui all’opera commissionata (infiltrazioni d’acqua e danni conseguenti) o, in altrenativa, alla restituzione, in favore della committente, di una somma di denaro, quale riduzione del corrispettivo già versato.
La Cassazione, nel cassare con rinvio la sentenza impugnata, ha premesso innanzitutto come, anche con riferimento ai
rimedi di cui all’art. 1668 c.c. in materia di appalto, debba farsi applicazione del principio generale secondo cui il risarcimento da inadempimento contrattuale, è volto a ristabilire l’equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se l’inadempimento non ci fosse mai stato.
Pertanto– ha precisato la Suprema Corte – allorquando si esperiscano, come nel caso di specie,
i rimedi riparatori di cui all’art. 1668, comma 1 c.c., il committente deve conseguire la
medesima utilità economica che avrebbe ottenuto se l’inadempimento dell’appaltatore non si fosse verificato;
utilità puntualmente correlata,
nei rigorosi limiti del valore dell’opera o del servizio oggetto del contratto, al
quantum necessario per l’eliminazione dei vizi e delle difformità che si siano palesate o al
quantum monetario per cui gli stessi vizi e difformità abbiano inciso sull’ammontare del corrispettivo pattuito.
E giammai– ha proseguito la Corte – i rimedi ex art. 1668, comma 1 c.c. possono risolversi nell’acquisizione di un’utilità economica eccedente i termini anzidetti .
Proprio facendo applicazione di tali principi, la Cassazione ha ritenuto, nel caso di specie, che la condanna dell’appaltatore nei termine quantificati dalla Corte territoriale, integrasse una palese violazione di legge.