Amministratore di società e commercialista responsabili di bancarotta documentale per violazioni seriali

Pubblicato il 07 settembre 2018

Si conferma il reato di bancarotta fraudolenta documentale e cagionato fallimento tramite operazioni dolose a carico dell’imprenditore, nella qualità di amministratore della società, che ha sottratto e distrutto libri e scritture contabili per procurarsi ingiusto profitto e cagionare un danno ai creditori ed, in generale, non consentire la ricostruzione del patrimonio e degli affari.

E non rileva sostenere che tutta la documentazione fiscale e contabile era tenuta da uno studio di commercialisti.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 40100 del 6 settembre 2018, ha evidenziato che si ha bancarotta fraudolenta fallimentare quando le operazioni dolose (art. 223, comma 2, n. 2, legge fallimentare) consistono nel mancato versamento di contributi previdenziali effettuato con sistematicità, sostanziandosi in atti di infedeltà ai doveri imposti dalla legge o in atti pericolosi per la “salute” economica dell’impresa. Per riscontrarsi il reato in parola, l’accusa deve soltanto dimostrare la consapevolezza e la volontà della natura dolosa dell’operazione che porta al dissesto. E tale è l’omissione sistematica del versamento di tributi e contributi previdenziali a far data dal 2003 con un notevole accumulo di un passivo fallimentare, ritenendo non rilevante collegare l'andamento negativo aziendale alla mancata soddisfazione di un rilevante credito verso un cliente.

Con riferimento alla bancarotta documentale, l’accusato sostiene che tutta la documentazione passava per le mani di commercialisti esterni.  Sul punto, la sentenza 40100/2018 fa presente che l’imprenditore era amministratore di diritto e di fatto nonché socio al 95%, quindi, deteneva una posizione dominante e deve ritenersi responsabile delle carenze riscontrate nella contabilità non essendo sufficiente sostenere che  la documentazione si trovava presso consulenti esterni.

Bancarotta documentale: responsabile amministrare e commercialista per violazioni abituali e ripetitive

Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in materia di reati tributari, “se è vero che anche il consulente fiscale può essere responsabile, a titolo di concorso, per la violazione tributaria commessa dal cliente, quando, in modo seriale, ossia abituale e ripetitivo, attraverso l'elaborazione e commercializzazione di modelli di evasione, sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente, certamente non può esimersi da responsabilità l'imprenditore che abbia posto in essere la frode, specie in totale difetto di allegazione e dimostrazione della propria pretesa estraneità al progetto criminoso ascritto al commercialista”.

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