La Corte di cassazione ha confermato la sentenza con cui i giudici di merito avevano condannato uno dei comproprietari di un immobile per il delitto di diffamazione ai danni dell’amministratore del condominio.
La condotta contestata all’imputato era di aver diffuso, durante una riunione condominiale, uno scritto nel quale egli affermava che l’amministratore aveva redatto un consuntivo palesemente falso.
Lo stesso era anche incriminato per aver continuato ad accusare l’amministratore nei giorni successivi all’assemblea, incontrando o telefonando agli altri condomini.
La condanna è stata confermata dalla Suprema corte con la sentenza n. 2627 del 22 gennaio 2018, secondo la quale vi era dubbio circa la natura diffamatoria sia dello scritto diffuso nell'assemblea condominiale che delle dichiarazioni poste in essere dall'imputato durante gli incontri con gli altri condomini dopo l'assemblea.
Per gli Ermellini, affermare che il bilancio consuntivo condominiale sia falso costituisce un evidente attacco ad personam nei riguardi del soggetto incaricato della redazione del suddetto strumento contabile ed, ossia, l'amministratore condominiale.
Infondata, in tale contesto, è stata ritenuta la doglianza avanzata dall’imputato, secondo cui non si poteva parlare di diffamazione in quanto le dichiarazioni incriminate ovvero gli scritti diffusi non contenevano l'indicazione nominativa della persona offesa.
Sul punto, la Corte di legittimità ha tuttavia precisato che, poiché il bilancio condominiale è predisposto dall'amministratore del condominio, era evidente, nella specie, come l'accusa di una sua falsificazione fosse diretta allo stesso e, comunque, a soggetto facilmente identificabile.
E’ stato quindi sottolineato come, in tema di diffamazione a mezzo stampa, o anche in qualsiasi modo si sia sviluppata l'azione diffamatoria, “qualora l'espressione lesiva dell'altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all'articolo 595 cod.pen.”.
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