Accomodamento ragionevole in azienda tra legge e giurisprudenza

Pubblicato il 29 maggio 2024

Dal 30 giugno 2024 entra in vigore il decreto Disabilità (decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62) che adotta nuove terminologie, riscrive la nozione di disabilità e ridisegna le procedure per il suo accertamento.

La vigenza di alcune disposizioni (sono quelle indicate dall’articolo 40 del decreto in parola) è rinviata al 1° gennaio 2025 nei territori interessati dalla procedura di sperimentazione della durata di 12 mesi e al 1° gennaio 2026 sul restante territorio nazionale.

Tra le disposizioni che entrano in vigore il 30 giugno 2024 vi è anche l’articolo 17, rubricato “Accomodamento ragionevole

L’articolo inserisce nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, l’art. 5-bis “Procedimento per l’accomodamento ragionevole”.

L’articolo, “al fine di riconoscere l'accomodamento ragionevole e predisporre misure idonee per il suo effettivo esercizio”, ridisegna l’istituto dell’accomodamento ragionevole, secondo quanto stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 e ratificata in Italia in base alla Legge 3 marzo 2009, n. 18.

Fino al 29 giugno 2024 continuano ad applicarsi le norme di cui all’articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, di attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Norme, queste ultime, su cui, nel corso degli anni, si è sviluppata una fiorente giurisprudenza.

Nell’analisi che segue approfondiremo la nozione legale di accomodamento ragionevole e daremo conto, senza presunzione di esaustività, di come la stessa sia stata applicata dalla giurisprudenza nazionale e eurocomunitaria a tutela delle esigenze della persona con disabilità e nel rispetto del dei confini dell’insindacabilità delle scelte imprenditoriali.

Accomodamento ragionevole: nozione applicabile fino al 29 giugno 2024

Il citato articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, prevede, in capo al datore di lavoro pubblico e privato, l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro, secondo i criteri ispiratori definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18.

Tale obbligo è finalizzato a garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori .

La disposizione nazionale dà attuazione all’articolo 5 della Direttiva 2000/78/CE che, nel rispetto del generale divieto di discriminazioni, dirette ovvero indirette, e per rendere effettiva la parità di trattamento, obbliga il datore di lavoro ad adottare una serie di azioni definite “soluzioni ragionevoli”, definite quali “provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”.

E, aggiunge in conclusione il legislatore UE, “tale soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili”.

Il datore di lavoro è pertanto tenuto ad adottare “provvedimenti appropriati”, ossia “misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell'handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento” (considerando 20 della Direttiva 2000/78/CE).

“Per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell'organizzazione o dell'impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni” (considerando 21 della Direttiva 2000/78/CE).

Ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligo in questione, la condotta organizzativa del datore di lavoro tesa a consentire alle persone con disabilità “di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione” o finalizzata a consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro nei casi di sopraggiunta inidoneità, incontra due limiti:

Accomodamento ragionevole: nozione applicabile dal 30 giugno 2024

Il decreto Disabilità prevede che, laddove l’applicazione delle disposizioni di legge non garantisca alle persone con disabilità il godimento e l'effettivo e tempestivo esercizio dei diritti su base egualitarie, l'accomodamento ragionevole debba individuare “le misure e gli adattamenti necessari, pertinenti, appropriati e adeguati, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo al soggetto obbligato.

L'accomodamento ragionevole è attivato in via sussidiaria e non sostituisce né limita il diritto al pieno accesso alle prestazioni, ai servizi e ai sostegni riconosciuti dalla legislazione vigente.

È riconosciuto in capo alla persona con disabilità, ovvero ai genitori se minore e alll'eventuale tutore o amministratore di sostegno,

L'accomodamento ragionevole deve risultare necessario, adeguato, pertinente e appropriato rispetto all'entità della tutela da accordare e alle condizioni di contesto nel caso concreto, nonché compatibile con le risorse effettivamente disponibili allo scopo.

Il rifiuto dell’accomodamento ragionevole legittima la facoltà di agire in giudizio per chiedere all'Autorità Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità di verificare la discriminazione.

Accomodamento ragionevole: cosa dice la giurisprudenza

Da ultimo, una rassegna della giurisprudenza in tema di accomodamenti ragionevoli per i lavoratori disabili.

Corte di Giustizia UE (sentenza 18 gennaio 2024 causa C‑631/22)

L’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, letto alla luce degli articoli 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché degli articoli 2 e 27 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, conclusa a New York il 13 dicembre 2006 e approvata, a nome della Comunità europea, con la decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in conformità della quale il datore di lavoro può porre fine al contratto di lavoro a motivo dell’inidoneità permanente del lavoratore a svolgere i compiti a lui incombenti in forza di tale contratto, causata dal sopravvenire, nel corso del rapporto di lavoro, di una disabilità, senza che tale datore di lavoro debba prima prevedere o mantenere soluzioni ragionevoli al fine di consentire al lavoratore di conservare il posto di lavoro, né dimostrare, eventualmente, che siffatte soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato.

Corte di Giustizia UE (sentenza 15 luglio 2021 causa C‑795/19)

L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede un’impossibilità assoluta di mantenere nelle sue funzioni un agente penitenziario la cui acutezza uditiva non è conforme alle soglie minime di percezione sonora fissate da tale normativa, senza consentire di verificare se tale agente sia in grado di svolgere dette funzioni, eventualmente dopo l’adozione di soluzioni ragionevoli ai sensi di tale articolo 5.

Corte di Cassazione, ordinanza 21 agosto 2023, n. 24906

Nell'ambito della ristrutturazione aziendale con la soppressione del settore a cui è stato assegnato il lavoratore con disabilità non è necessario procedere ad accomodamenti ragionevoli per assicurare la conservazione del posto di lavoro al lavoratore.

Corte di Cassazione, sentenza 9 marzo 2021, n. 6497

L'adozione di misure organizzative è prevista in ogni fase del rapporto di lavoro, da quella genetica sino a quella della sua risoluzione, non essendo specificamente destinate a prevenire un licenziamento.

In caso di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, il datore di lavoro ha l’onere di provare oltre alla sussistenza delle giustificazioni del recesso, anche l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli.

 A fronte del lavoratore che deduca e provi di trovarsi in una condizione di limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature secondo il diritto dell'Unione europea, quale fonte dell'obbligo datoriale di ricevere soluzioni ragionevoli che potessero evitare il licenziamento causato dalla disabilità, grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adempiuto all'obbligo di "accomodamento" ovvero che l'inadempimento sia dovuto a causa non imputabile.

Tribunale di Roma, sentenza 18 dicembre 2023

Tra gli “accomodamenti ragionevoli” rientra anche la concessione del lavoro a distanza (telelavoro o lavoro agile).

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