Sono rilevanti e non manifestamente infondate - secondo il Consiglio di Stato - le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall'Associazione Nazionale Tributaristi Lapet rispetto alle previsioni che limitano l’apposizione del visto di conformità ai tributaristi.
Ad essere censurata, in particolare, è la disposizione contenuta nell’art. 35, comma 3, del D. Lgs. n. 241/1997, per asserita violazione degli artt. 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione.
Per il Collegio amministrativo, sarebbero non manifestamente infondate le questioni di legittimità prospettate con riguardo ai principi di ragionevolezza e non discriminazione, di libertà dell’iniziativa economica privata e di libera prestazione di servizi all’interno del mercato unico.
Le questioni in parola, sospeso il giudizio in corso, sono state rimesse alla Corte costituzionale.
La causa era stata azionata dall'Associazione Lapet e da una tributarista dopo che a quest'ultima l’Agenzia delle Entrate aveva negato l’abilitazione al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e Iva dalla stessa inviate.
Il provvedimento di diniego opposto dall'Amministrazione finanziaria - e oggetto dell'impugnazione in giudizio - si fondava sulla considerazione dell’esistenza di una riserva di legge per l’attività di rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni.
Detta riserva, considerata dal Fisco come ostativa per l’esercente la professione di tributarista, era stata ricavata dal comma 3 del citato 35, ai sensi del quale il visto di conformità è rilasciato su richiesta del contribuente dai "soggetti indicati alle lettere a) e b), del comma 3 dell’articolo 3 del DPR n. 322/1998, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni".
Secondo gli appellanti, tuttavia, non vi sarebbe alcuna legittima ragione per opporre ai tributaristi la riserva di attività per il rilascio del visto di conformità.
Da qui l'esigenza di superare la pretesa ingiustificata discriminazione in danno dei professionisti non costituiti in un ordine.
Con ordinanza n. 995 del 31 gennaio 2024, il Consiglio di Stato, come detto, ha deciso di sospendere il giudizio in corso e di ordinare l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ad essere censurata - ha evidenziato il Collegio - è la limitazione dei soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità rispetto alla più ampia platea dei soggetti legittimati a predisporre le dichiarazioni e ad inviare le stesse in via telematica.
L’effetto lesivo della detta limitazione non derivebbe tanto dalle norme regolamentari, che infatti abilitano alla trasmissione in via telematica una tipologia di soggetti più ampia (tra cui i ricorrenti professionisti tributaristi), ma dalla richiamata norma primaria, che restringe i soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità.
La pretesa azionata, ciò posto, potrebbe trovare riconoscimento solo attraverso una declaratoria di incostituzionalità della norma primaria e non attraverso una interpretazione estensiva delle previsioni, ritenuta non percorribile.
Ebbene, per il Collegio amministrativo, appaiono non manifestamente infondate, in primo luogo, le questioni di legittimità prospettate con riguardo al principio di ragionevolezza e non discriminazione.
Secondo il Cds, infatti, non emergerebbe una plausibile giustificazione per la quale i tributaristi possano legittimamente essere esclusi dal novero dei professionisti abilitati al visto di conformità:
La norma censurata, inoltre, finirebbe per discriminare in modo non ragionevole la categoria dei tributaristi.
A tali soggetti - ha rammentato il Consiglio - l’ordinamento consente pacificamente di operare come consulenti fiscali, di predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, di trattare e conservare i dati contabili, ma non permette loro di rilasciare il visto di conformità, che al contempo non potrebbe essere rilasciato dai professionisti iscritti all’ordine, a causa del divieto di certificare le dichiarazioni fiscali non redatte personalmente dal professionista, creando una disparità di trattamento non giustificata rispetto ai professionisti iscritti all’ordine.
Senza contare che l’attuale regime di riserva limiterebbe il libero esercizio dell’attività professionale e della iniziativa economica per le categorie non comprese nella medesima riserva.
E questo, nonostante, come nel caso dei tributaristi, la professione sia per un verso riconosciuta e inquadrata nel sistema e sia compresa tra quelle abilitate all’invio telematico delle dichiarazioni.
Il tutto in contrasto anche con l’art. 41 della Costituzione che, nell’assicurare la libertà dell’iniziativa economica, ha inteso tutelare anche la concorrenza sia in senso soggettivo che in quello oggettivo.
La contestata limitazione dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità, infatti, finisce per incidere negativamente sulla libertà di iniziativa economica dei professionisti tributaristi non iscritti agli ordini professionali, i quali subiscono uno sviamento della clientela verso i professionisti iscritti all’ordine anche per attività non riservate a questi ultimi.
In vero, la mera predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni senza possibilità di apporre il visto di conformità priva la clientela dei primi di rilevanti effetti che l’ottenimento del visto produce sulla posizione fiscale e amministrativa, con conseguente maggiore convenienza a rivolgersi ai professionisti iscritti all’ordine, posto che questi ultimi sarebbero gli unici in grado di rilasciare il visto di conformità.
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