Con sentenza n. 39865 depositata il 5 ottobre 2015, la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha rigettato il ricorso di un uomo, imputato per maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale ai danni della moglie.
E' da escludere – ha chiarito la Cassazione nel respingere le censure del ricorrente – che sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo del proprio istinto e nonostante la contraria volontà del partner. Ciò, tanto più se tali rapporti avvengono – come nel caso di specie – in un contesto di sopraffazione, infedeltà e violenza, che costituiscono l'esatto opposto del contesto di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale dovrebbe porsi.
D'altra parte, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 609 bis c.p. - ha precisato la Corte Suprema - è sufficiente qualsiasi forma di costringimento fisico – psichico idonea ad incidera sull'altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi l' esistenza di un rapporto coniugale o preconiugale tra le parti. Il coniugio, infatti non degrada la persona del coniuge a mero oggetto di possesso dell'altro coniuge, con la conseguenza che laddove l'atto sessuale costituisce mera manifestazione di detto possesso, esso acquista rilevanza penale.
Nè vale ad escludere il reato – ha chiarito ancora la Cassazione - la circostanza che la donna non si sia opposta esplicitamente ai rapporti sessuali, subendoli passivamente, laddove risulti che l'agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia avuto la consapevolezza di un rifiuto implicito..
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