E' stato definitivamente annullato, dalla Cassazione, l'avviso di accertamento di maggiori compensi notificato a un contribuente, un professionista, sulla base della verifica dei conti correnti a lui riferibili.
La contestazione riguardava, in particolare, il versamento in contanti di 12mila euro effettuato sul conto cointestato al contribuente e a sua moglie, oltre ai versamenti di due assegni sul conto personale del professionista risultati, in realtà, mai effettuati e, quindi, inesistenti.
La CTR aveva accolto l'impugnazione del contribuente, ritenendo che il professionista avesse fornito prova idonea a superare la presunzione di cui all'art. 32 del DPR n. 600/1973.
Contro tale decisione, l'Agenzia delle Entrate si era rivolta alla Suprema corte, lamentando violazione e falsa applicazione di legge.
Con ordinanza n. 17413 del 30 maggio 2022, la Corte di cassazione ha giudicato infondato il ricorso dell'Amministrazione finanziaria ritenendo che, nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale si fosse correttamente attenuta ai principi enunciati dalla giurisprudenza in tema di accertamento delle imposte sui redditi effettuato dall'Ufficio finanziario sulla base di verifiche di conti correnti bancari.
Nei predetti casi - ha ricordato la Corte - l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, ex art. 32 del DPR n. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un'inversione dell'onere probatorio a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario in contestazione, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili.
Per vincere tale presunzione legale, come detto, il contribuente deve fornire la prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.
A tale onere a carico del contribuente, corrisponde l'obbligo del giudice di merito di operare "una verifica rigorosa dell'efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverisimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie e di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica".
Il contribuente, in tale contesto, può fornire prova contraria anche attraverso presunzioni semplici e il giudice, in questa ipotesi, deve individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative.
Nella vicenda esaminata, la CTR aveva fatto corretta applicazione di tali assunti ritenendo, sulla scorta dell'esame della documentazione contabile fornita dal contribuente, che il versamento di 12mila euro era adeguatamente giustificato per il fatto che nel periodo di riferimento il professionista aveva incassato, in contanti, compensi per prestazioni professonali eccedenti le 45mila euro, una somma, quindi, ben superiore a quella contestata dall'Ufficio.
Il ricorso del Fisco, in definitiva, andava rigettato.
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