Vendita di mascherine senza certificazione? Non è, di per sé, reato

Pubblicato il 27 ottobre 2020

L’avvenuta cessione di qualsivoglia tipologia di mascherine da apporre di fronte al viso al fine di evitare la emissione di particelle di saliva nell’atto di respirare e del parlare o comunque di schermare gli organi periferici della respirazione, laddove siffatti oggetti non abbiano la certificazione della regolarità rispetto alla normativa anti Covid-19, non integra di per sé la condotta di cui al reato ex 515 c.p.

Tale ultima fattispecie, si rammenta, sanziona penalmente la avvenuta cessione di beni laddove questi siano diversi per origine, provenienza, qualità o quantità, rispetto ai beni dichiarati o pattuiti.

Perché la fattispecie concreta possa essere sussunta in una ipotesi di reato sarebbe infatti necessario fornire elementi tali da poter dimostrare che la vendita di beni sia avvenuta dopo che l’agente abbia preventivamente dichiarato che le mascherine in oggetto costituissero presidi medici ai fini della prevenzione del contagio da Coronavirus

Solo in presenza di tale condizione, ossia, si potrebbe concludere per l’astratta integrazione del reato contestato.

Reato se mascherine vendute come presidi medici sono prive di certificazione

E’ quanto evidenziato dalla Corte di cassazione, Terza sezione penale, nel testo della sentenza n. 29578 del 26 ottobre 2020, pronunciata in annullamento, con rinvio, del sequestro probatorio e preventivo disposto dal GIP nei confronti di due indagati per il reato di cui all’art. 515 cp., sequestro avente ad oggetto oltre 25mila mascherine, appartenenti a diverse tipologie commerciali, in parte fornite ad un dettagliante ed in parte ancora detenute presso i loro magazzini commerciali.

Gli interessati, dopo che anche il tribunale del riesame aveva confermato la misura cautelare disposta nei loro confronti, si erano rivolti ai giudici di legittimità, lamentando l'assenza del fumus delicti, posto che gli stessi si erano limitati a porre in vendita i beni oggetto di sequestro senza modificare in nulla la documentazione con la quale le mascherine erano state importate.

Diversamente da quanto osservato nel merito, inoltre, i prodotti in oggetto non erano qualificabili né come dispositivi medicali né come mascherine chirurgiche né, infine, come dispositivi di protezione individuale ma, semplicemente, come mascherine della collettività, sicché le stesse non erano soggette alla presenza dei requisiti indicati dal Tribunale.

Mascherine di collettività non sono presidi, niente reato se manca la certificazione

La Suprema corte, nell'accogliere tali doglianze, ha sottolineato come fosse significativo che le indagini in questione avessero preso le mosse dall’avvenuto rinvenimento presso un esercizio commerciale di una partita di mascherine importata dalla Cina, cedute al dettagliante per la loro messa in vendita al minuto.

Per gli Ermellini, in particolare, era apparsa come singolare - e certamente meritevole di qualche approfondimento argomentativo - la circostanza che le predette mascherine, costituenti in ipotesi un presidio medico, fossero commerciate non presso una farmacia o comunque un negozio di prodotti sanitari ma presso un negozio che vendeva ferramenta.

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