Uso non corretto dei permessi 104: legittimo il licenziamento?

Pubblicato il 27 aprile 2022

In due recenti sentenze, la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine ad altrettante vicende riguardanti il licenziamento disciplinare comminato a dipendenti per uso improprio dei permessi ex Legge n. 104/1992, giungendo a diverse conclusioni circa la tutela concretamente applicabile una volta riscontrata l'illegittimità di entrambi i recessi.

Nel primo caso, il licenziamento è stato giudicato illegittimo e la condotta della dipendente, in villeggiatura nel giorno di fruizione del permesso 104, è stata valutata come assenza ingiustificata per un giorno, punibile con una sanzione conservativa sulla base del CCNL di riferimento.

Nella seconda vicenda esaminata, invece, sebbene il licenziamento comminato al dipendente è stato ritenuto sproporzionato, è stata riconosciuta allo stesso la sola tutela indennitaria, con esclusione della reintegra nel posto di lavoro, atteso che la condotta contestata non coincideva con alcuna delle fattispecie per le quali il contratto collettivo applicabile prevedeva una sanzione conservativa.

In villeggiatura durante la fruizione del permesso? Recesso illegittimo con reintegra

Con sentenza n. 13065 depositata il 26 aprile 2022, in primo luogo, la Suprema corte ha giudicato corretta la decisione con cui la Corte d'appello aveva dichiarato l'illegittimità del recesso per giusta causa intimato ad una propria dipendente da una Spa, condannando quest'ultima alle conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori, ossia al reintegro della lavoratrice.

Alla dipendente era stato addebitato di trovarsi in villeggiatura durante un giorno di permesso ex lege n. 104, concesso per assistere la madre disabile, che invece si trovava in altro luogo, in questo modo violando “i principi di correttezza e buona fede nonché gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà” e cagionando, con l’assenza dal servizio, disagi e disservizi nell’organizzazione del lavoro.

In sede di giustificazioni, la dipendente non aveva negato l'effettività del fatto specificamente contestato, scusandosi dell'errore commesso di cui aveva anche riconosciuto la gravità, deducendo tuttavia, quali motivi a sua discolpa, un'improvvisa indisponibilità espressa dalla madre soltanto nella tarda serata del giorno precedente e, quanto al mancato tempestivo rientro, le proprie condizioni di salute, anche in relazione alla guida di notte per lunghi tragitti ed al traffico che avrebbe trovato.

La donna aveva anche addotto di non aver pensato di avvertire l'azienda del fatto che quel giorno non avrebbe potuto materialmente assistere la madre e, comunque, di essere ripartita dal luogo di villeggiatura nel pomeriggio dello stesso giorno, disdettando la prenotazione dell'albergo.

Valutate le predette circostanze, i giudici, sia di primo che di secondo grado, avevano ritenuto che la vicenda in esame fosse riconducibile all’ipotesi d’insussistenza della giusta causa di licenziamento atteso che il fatto rientrava tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della contrattazione collettiva applicabile.

Conclusioni, queste, confermate anche in sede di legittimità, alla luce dell'inammissibilità dei motivi di ricorso sollevati dalla società datrice di lavoro, motivi con cui era sollecitata una diversa interpretazione della contestazione disciplinare ed invocato un sindacato in realtà inibito in sede di legittimità.

Permessi per dedicarsi ad altre attività? Licenziamento sproporzionato ma solo indennità

La seconda pronuncia esaminata - Cassazione n. 6796 del 2 marzo 2022 - ha riguardato, invece, la vicenda di un dipendente, cui era stato comminato il recesso per avere fruito di tre permessi 104, corrispondenti all'intero turno lavorativo di otto ore, per dedicarsi ad attività estranee alla assistenza della madre, soggetto portatore di handicap grave.

Secondo la Corte territoriale, gli accadimenti addebitati si erano rivelati in realtà diversi da quelli contestati, atteso che due dei giorni in cui erano stati accertati comportamenti estranei alle esigenze di assistenza dei disabili avevano interessato, quantitativamente, solo tre ore delle sedici complessive invece considerate, per cui l'abuso del diritto, seppure sussistente, non era tale da giustificare la misura disciplinare adottata: il fatto addebitato, ciò posto, non integrava una giusta causa per mancanza di proporzionalità.

Quanto alla tutela applicabile, i giudici di seconde cure avevano considerato che il fatto non fosse passibile di alcuna sanzione conservativa e che andasse applicata la sanzione prevista dall'art. 18, comma 5 della Legge n. 300/1970.

Conclusioni, queste, confermate anche dal Collegio di legittimità, secondo il quale l'impianto decisorio dei giudici di gravame era conforme al principio già enunciato dalla Cassazione secondo cui, "nel caso di licenziamento disciplinare intimato per una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti, solo alcuni dei quali risultino dimostrati, la "insussistenza del fatto" si configura qualora possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, o se si realizzi l'ipotesi dei fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità, ferma restando la necessità di operare, in ogni caso, una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed i comportamenti dimostrati, con la conseguenza che, nell'ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa, ricadendo la proporzionalità tra le "altre ipotesi" per le quali è prevista la tutela indennitaria cd. forte". 

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