Di per sé, l’atto costitutivo del trust non esprime capacità contributiva, né per il disponente né per il trustee.
Per il primo, infatti, l’utilità del trust, rappresentata dall'effetto di separazione dei beni, peraltro correlata ad una autorestrizione del potere di disposizione, non si sostanzia in un incremento di forza economica.
E anche per il secondo, può rilevarsi il carattere solo formale, transitorio, vincolato e strumentale dell’acquisto.
Una vera manifestazione di forza economica e di capacità contributiva, in detto contesto, prende consistenza solo quando la funzione del trust viene attuata.
E’ quanto ribadito dalla Corte di cassazione con sentenza n. 15453 del 7 giugno 2019.
Nel testo della decisione, la Suprema corte ha dato atto dell’ormai stabile superamento del diverso orientamento di legittimità secondo cui, invece, la costituzione del vincolo di destinazione su beni costituirebbe, di per sé, autonomo presupposto impositivo.
Nel caso esaminato, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso avanzato da un contribuente, trustee del trust di un fallimento di Srl, per la cassazione di una sentenza emessa dalla CTR.
Il ricorrente, nel dettaglio, aveva lamentato una violazione dell'articolo 2 del DL n. 262/2006, per avere, i giudici di merito, ritenuto legittimo un avviso a lui notificato dall'Agenzia delle Entrate, in liquidazione dell'imposta di donazione richiesta relativamente alla costituzione di un vincolo su beni della massa fallimentare, finalizzato alla relativa gestione e liquidazione e, in ultimo, al soddisfacimento dei creditori della fallita.
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