Trasparenza retributiva, approvate nuove misure vincolanti dall’UE

Pubblicato il 14 aprile 2023

Con il comunicato stampa del 30 marzo 2023, il Parlamento Europeo rende noto che sono state approvate nuove misure vincolanti riguardanti l’obbligo di trasparenza retributiva contro le discriminazioni di genere esistenti.

Nell’Unione Europea, le donne guadagnano in media il 13% in meno rispetto gli uomini a parità di mansioni.

Nuove misure

Le nuove regole - approvate con 427 voti favorevoli, 79 contrari e 76 astensioni – hanno l’obiettivo di contrastare il divario retributivo tra i generi “gender pay gay”.

Le misure trovano applicazione sia nel settore privato che in quello pubblico.

Nello specifico, la nuova legislazione prevede:

NOTA BENE: Nei casi in cui dalla dichiarazione obbligatoria sulle retribuzioni di un’azienda risulti un divario di almeno il 5%, i datori di lavoro dovranno effettuare una valutazione delle retribuzioni in cooperazione con i rappresentanti dei loro dipendenti.

Sanzioni efficaci

Si prevede l’introduzione di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive contro i datori di lavoro che non rispettano le regole.

In ogni caso, il lavoratore avrà il diritto di richiedere un risarcimento nei casi in cui abbia subito un danno derivante dalla violazione di una delle nuove regole.

La nuova legislazione tutela per la prima volta anche la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie.

Divieto del segreto salariale

Si prevede il divieto del segreto salariale. Tutti i lavoratori e i loro rappresentanti dovranno ricevere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi individuali e medi, suddivisi per genere.

Non potranno essere stipulate clausole contrattuali che impediscano ai lavoratori di divulgare informazioni sulla propria retribuzione ovvero di chiedere informazioni in merito ad essa o alla retribuzione di altre categorie di lavoratori.

Trasferimento dell'onere della prova

L’onere della prova è trasferito dal lavoratore al datore di lavoro.

Nei casi in cui il lavoratore ritenga che non sia stato correttamente applicato il principio della parità di retribuzione e porta il caso in tribunale, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare che non c'è stata alcuna discriminazione.

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