Configura il reato di riciclaggio anche la semplice condotta di colui che accetta di essere indicato come beneficiario economico di beni che, nella realtà, appartengono a terzi e sono frutto di attività delittuosa.
Tale condotta, anche se non si concretizza in atti dispositivi, è comunque idonea ad ostacolare l'identificazione della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l'oggetto.
Il riciclaggio è, difatti, un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può consistere anche in una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di tempi l'uno dall'altro, unitamente riconducibili all'obiettivo comune cui sono finalizzati, vale a dire l'occultamento della provenienza delittuosa: in questo caso, si configura un unico reato a formazione progressiva che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere.
E' quanto sottolineato dalla Suprema corte nel testo della sentenza n. 38141 del 10 ottobre 2022, nell'accogliere il ricorso di un'imputata che lamentava, nei confronti della decisione di condanna emessa a suo carico, l'omesso assorbimento della condotta contestatagli come intestazione fittizia di un immobile nel reato di riciclaggio.
Secondo la sua difesa, tale ultima più grave condotta avrebbe dovuto assorbire l'altra, vista la clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca più grave reato" contenuta nell'art. 512-bis del Codice penale sul reato di trasferimento fraudolento di valori.
Questa doglianza, come detto, è stata giudicata fondata dagli Ermellini, per i quali la fittizia intestazione nella specie posta in essere aveva costituito un segmento della più articolata condotta di riciclaggio che, considerata la clausola di riserva, non può essere sanzionata una seconda volta.
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