La Corte di giustizia si è espressa sulla normativa italiana secondo la quale, in materia di appalti pubblici, il subappalto non può superare la quota del 30 % dell’importo complessivo del contratto.
I giudici europei, con sentenza del 26 settembre 2019, causa C-63/18, si sono occupati della domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal TAR per la Lombardia, in ordine alla corretta interpretazione degli articoli 49 e 56 TFUE, dell’articolo 71 della direttiva 2014/24/UE nonché del principio di proporzionalità.
La domanda era stata presentata nel contesto di una controversia tra una Spa e la società Autostrade per l’Italia, in merito alla decisione adottata da quest’ultima, in qualità di amministrazione aggiudicatrice, di escludere la prima da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico.
Alla Corte Ue era stato chiesto di chiarire se i principi europei di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi (che non contemplano limitazioni quantitative al subappalto) e il principio di proporzionalità, ostassero all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana - contenuta, nella specie, nell’articolo 105, comma 2, terzo periodo, del Decreto legislativo n. 50/2016, cosiddetto Codice appalti - secondo la quale, come detto, il subappalto non può superare la quota del 30 % dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Orbene, secondo la Quinta sezione della Corte di giustizia, la normativa italiana indicata non è in linea con le nome Ue.
In particolare, una restrizione al ricorso del subappalto come quella prescritta dalle disposizioni italiane non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24.
Quest’ultima deve infatti essere interpretata - si legge nelle conclusioni della Corte Ue - nel senso che “osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.
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